Ruolo e rilevanza politica del Servizio Sociale (Parte I)

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Ruolo e rilevanza politica del Servizio Sociale (Parte I)

La politicizzazione del ruolo dell’assistente sociale: l’evoluzione e le criticità della nuova mission della professione. Verso una nuova prospettiva metodologica.

Ruolo politico dell’Assistente sociale: l’evoluzione tra criticità e dubbi

Da anni si discute del possibile ruolo “politico” degli Assistenti sociali, un tema spinoso, controverso, che ha suscitato dibattiti, dispute e divisioni. Il confronto più acceso sull’argomento è coinciso con il manifestarsi, sulla scena pubblica, dei movimenti di contestazione degli anni Sessanta e Settanta, portatori di nuovi ideali che mettevano fortemente in discussione i pilastri socioculturali, economici e giuridici della società dell’epoca.

Tra il dissenso generale, la critica ha investito anche gli apparati istituzionali e le teorie/approcci che orientavano le politiche e le pratiche socioassistenziali attuate fino a quel momento.

Per un più ampio approfondimento dell’argomento, è possibile far riferimento all’analisi condotta da Luigi Gui nel testo “Servizio sociale tra teoria e pratica”, pubblicato nel 1999. Si ritiene comunque utile, nell’ambito della riflessione che segue, segnalare alcune tappe e momenti cruciali dell’evoluzione del Servizio sociale, nel periodo della contestazione, per meglio esaminare il tema specifico qui trattato.

«L’Assistente sociale riconosce il ruolo politico e sociale della professione e lo esercita agendo con o per conto della persona e delle comunità, entro i limiti dei principi etici della professione»


Riflessioni metodologiche e la messa in discussione della professione

Gui, avvalendosi del contributo riflessivo e critico di numerosi esperti, mostra con chiarezza come già negli Anni ’60 gli Assistenti sociali avessero messo in forte discussione il loro ruolo professionale, ritenendo che la qualità del lavoro svolto fosse condizionata dalla riduttività degli obiettivi fino a quel momento perseguiti.

Tale riduttività, si diceva, finiva col favorire forme di conservatorismo atte a mantenere intatte le logiche di funzionamento delle Istituzioni piuttosto che dare un contributo per la trasformazione degli Enti stessi e per il loro adeguamento alle reali esigenze della popolazione (Gui 1999, 23).

In quegli anni, anche per effetto di nuovi approcci e teorie sociologiche che si andavano diffondendo, si intensificava la riflessione critica sull’assetto e la funzione dei Servizi Sociali, sul valore e sul significato degli interventi che venivano attuati, sulle ricadute che ne conseguivano, inducendo interrogativi e ragionamenti inediti sulla professione degli Assistenti sociali: «Inizia così, per il Servizio Sociale, “un periodo di turbolenza movimentista” da un lato, e di ampia riflessione metodologica degli Assistenti sociali dall’altro» (idem, 24).

“Politicizzazione e coscientizzazione”: la maggiore tutela dei diritti

Molti operatori rifiutavano di ricoprire un “ruolo neutrale” focalizzato solamente su aspetti e contenuti tecnico-operativi, reputando necessario compiere chiare “scelte di campo” e assumere un ruolo più incisivo nel garantire la tutela dei diritti delle fasce marginali e nel sostenere le trasformazioni sociali e culturali in atto.

A cominciare da queste riflessioni, al 9° Congresso dell’Associazione Nazionale degli Assistenti Sociali (Roma 1965), e poi al Congresso Ass.N.A.S. (Rimini 1970), venne portata all’attenzione dell’intera categoria la questione riguardante la politicizzazione del ruolo degli Assistenti sociali.

Il dibattito, afferma Gui, si concentrava in particolare sulla necessità di una “coscientizzazione” delle classi deboli sui loro bisogni e sulla legittimazione del Servizio Sociale a partecipare attivamente, non solo al processo di ridefinizione dei bisogni sociali, ma anche all’«aggregazione» delle istanze di rivendicazione e conquista dei diritti (idem, 26).

Decenni rivoluzionari…

Gli anni ’70 si presentano, dunque, come anni di tensione culturale e ideale durante i quali, il Servizio Sociale, si adopera per sensibilizzare l’opinione pubblica e sostenere l’approvazione e la realizzazione di riforme legislative improntate a un modello istituzionale universalistico e partecipativo: superamento del criterio di povertà per l’accesso ai servizi; riduzione o abolizione di alcune forme di istituzionalizzazione totale come carcere, manicomio, riformatorio e collegio minorile; universalizzazione delle prestazioni e altro ancora.

Non è questa la sede per esaminare e approfondire quanto accaduto in quegli anni, in considerazione della complessità di quel periodo e delle differenti valutazioni che ne sono seguite. Giova comunque ricordare che l’innegabile ruolo politico svolto dagli Assistenti sociali tra gli anni Sessanta e Settanta, per sostenere le riforme e i processi di democratizzazione, pur con le dovute eccezioni, già a partire dagli anni Ottanta si è andato progressivamente affievolendo per effetto di una molteplicità di fattori, circostanze e congiunture.

Nuove conquiste, nuovi obiettivi, nuovi orizzonti

I cambiamenti e le trasformazioni sociali, culturali ed economiche subentrate nei decenni seguenti, hanno fortemente sollecitato una ridefinizione delle professioni sociali e una rielaborazione dei modelli di welfare e di cittadinanza. Gradualmente ha prevalso una visione della professione degli Assistenti sociali sempre più parametrata sui criteri di efficienza e produttività di matrice aziendalistica, così da spostare l’attenzione della categoria su interessi più pragmatici.

L’esigenza di potenziare le competenze tecniche e metodologiche degli operatori ha posto, così, in subordine la funzione trasformativa e politica precedentemente considerata al centro della mission del Servizio Sociale. Gli sforzi messi in campo si sono indirizzati e concentrati, innanzitutto, sulle possibilità di crescita e riconoscimento della categoria: status della professione, riconoscimento dell’Ordine e istituzione dell’Albo, potenziamento della formazione e delle competenze tecniche e metodologiche, acquisizione di un titolo accademico e altro. 

Da allora, molte conquiste sono state messe a segno, almeno sul piano formale; molte altre, invece, sono rimaste aperte o irrisolte, alcune delle quali sono di recente ritornate prepotentemente alla ribalta. 

Globalizzazione e servizi socioassistenziali: ritorno al passato

Il momento storico attuale richiama i Servizi socioassistenziali a una mobilitazione senza precedenti, che impone nuove e corpose responsabilità anche agli Assistenti sociali, i quali tentano ora di recuperare la funzione trasformativa e politica lasciata per parecchio tempo sullo sfondo.

Nella società globalizzata, scrive Michele Blanco, in “Diritti e Disuguaglianze” (2017, pp. 29-49), non tutto si dirige verso un trionfale mondo del benessere diffuso; al contrario, siamo nella società del rischio, dove anche le conquiste di civiltà nel campo dei diritti umani, della partecipazione politica, della maggiore equi-distribuzione dei redditi e dell’assistenza sono messi costantemente in discussione.

Tale tendenza è notevolmente rafforzata da uno stato di globalizzazione privo di “istituzioni globali adeguate”, incapace dunque di mediare tra esigenze sociali, economiche e culturali naturalmente incomponibili, accresciute dagli sconvolgimenti determinati dai flussi migratori degli ultimi anni e dalle ragioni che li hanno determinati.

Non a caso, il Nuovo Codice Deontologico dell’Assistente sociale, entrato in vigore nel mese di giugno 2020, riprende i fili di più antichi discorsi e impone una rinnovata visione della mission di questi professionisti.

Andare “oltre”, il nuovo must del Codice Deontologico

Il Nuovo Codice - scaturito dall’analisi approfondita della situazione storica e sociale che si sta vivendo e da un serrato confronto avvenuto dentro e fuori la comunità professionale – richiama senza indugio alla responsabilità politica dell’Assistente sociale, a cui si chiede un impegno che vada oltre i compiti e le funzioni tipicamente sociali e assistenziali.

Le sollecitazioni a un impegno di caratura superiore le ritroviamo a partire dai Principi generali della professione, Titolo II, art. 6, laddove si dichiara che “L’assistente sociale afferma i principi della difesa del bene comune, della giustizia, della solidarietà e dell’equità sociale…”.

Negli ultimi anni, il Servizio sociale si è dovuto confrontare con molte questioni di grande peso e rilevanza, specialmente a seguito di inarrestabili fenomeni migratori e di emergenze dovute a calamità, crisi internazionali, pandemia, diffusione di gravi forme di disagio e di povertà. Tutti questi fenomeni incorporano inevitabilmente gravi e diffuse forme di sofferenza e discriminazione, richiedendo a tutti i soggetti, che a vario titolo se ne occupano, di mantenere alta e vigile l’attenzione sulle questioni del riconoscimento e della tutela dei diritti umani e della giustizia sociale.


Se sei interessato a raccontare la tua esperienza o le tue riflessioni di assistente sociale siamo lieti di pubblicare un tuo articolo sul nostro blog. Per maggiori informazioni contatta la dott.ssa Serena Vitale (redazioneblog@progettofamiglia.org)
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