Commissione per l’innovazione del Sistema Penitenziario. Parte II

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Commissione per l’innovazione del Sistema Penitenziario. Parte II

Sistema penitenziario e quotidianità: nuove proposte per il miglioramento delle condizioni detentive. Le modifiche della Commissione all’art. 29 (Programma individualizzato di trattamento) e all’art. 40 (Autorità competente a deliberare le sanzioni).

Il ruolo del Servizio Sociale

Con riferimento ai funzionari di Servizio Sociale, la Commissione ha elaborato delle proposte che ne ampliano i compiti e le funzioni. Nello specifico, due sono gli articoli ai cui son state apportate modifiche significative: l’art. 29 “Programma individualizzato di trattamento”; Art. 40 “Autorità competente a deliberare le sanzioni”.

Va ricordato che il Legislatore, già nel testo del 1975, abbandonando l’antica logica della depersonalizzazione quale riflesso di una filosofia della pena afflittiva e mortificante, ha puntato sulla valorizzazione delle risorse individuali e collettive e sugli elementi della personalità del detenuto che possano giovare e sostenere il suo positivo reinserimento sociale.

In tale ottica, ha fatto leva sul concetto del “Trattamento penitenziario”, affermandolo come principio base della c.d. “rieducazione” prevista dalla Costituzione, secondo il criterio della “individualizzazione” e tenendo conto delle specifiche condizioni dei soggetti destinatari degli interventi trattamentali.

<<È necessario che l’Assistente Sociale si ribelli alla mortificazione della propria figura, qualora venisse chiamato a ricoprire un ruolo subalterno e di “vetrina”>>

Art.29 - “Programma individualizzato di trattamento”

L’attuale art. 29 del DPR N. 230/2000, al comma 2, stabilisce che «La compilazione del programma è effettuata da un gruppo di osservazione e trattamento presieduto dal direttore dell'istituto e composto dal personale e dagli esperti che hanno svolto le attività di osservazione indicate nell'articolo 28».

La modifica approvata dalla Commissione per l’innovazione del sistema penitenziario recita: «La compilazione del programma è effettuata da un gruppo di osservazione e trattamento presieduto dal direttore dell’istituto e composto dal personale del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, dal personale di Servizio Sociale del competente Ufficio di esecuzione penale esterna, dagli esperti che hanno svolto le attività di osservazione. Il gruppo si avvale anche del contributo delle persone che hanno mostrato concreto interesse per l’opera di risocializzazione del detenuto ai sensi degli articoli 17 e 78 della legge. 3. Il gruppo tiene riunioni periodiche, nel corso delle quali esamina gli sviluppi del trattamento praticato e i suoi risultati».

La modifica di cui al comma 2, come spiegato nella relazione finale della Commissione Ruotolo, parte dall’idea che la formulazione e l’esecuzione di un programma di trattamento individualizzato debba coinvolgere in modo attivo e partecipativo tutti quei soggetti che, concretamente, seguono il detenuto nei percorsi inframurari, in quanto portatori di significativi elementi di conoscenza e risorse. Si pensi agli operatori volontari che, in forza degli articoli 17 e 78 della Legge, incontrano le persone detenute nell’ambito di molteplici attività e, dunque, sono in grado di fornire collaborazione e preziosi suggerimenti circa i contenuti del programma di trattamento e le modalità attuative più convenienti.

In particolare, si dice, appare opportuna la partecipazione dei funzionari di Servizio Sociale per poter garantire la completezza dell’intervento, sia intra che extra murale, e il collegamento con i servizi territoriali. 

L’apporto operativo dell’Assistente Sociale

La Commissione ha voluto chiaramente indicare e specificare che il programma di trattamento individualizzato, predisposto a seguito dell’osservazione della personalità, veda coinvolti in prima linea gli Assistenti Sociali che, insieme a tutte le altre figure dell’équipe multidisciplinare, raccordandosi con i rappresentanti della comunità esterna, si facciano carico della responsabilità di elaborare un programma di intervento che rispecchi e risponda alla specifica situazione e condizione del soggetto destinatario, impegnandosi anche nell’azione di accompagnamento, nella ricerca delle risorse e delle opportunità ritenute più idonee e nell’azione di verifica della bontà delle scelte effettuale.

Il richiamo a un maggiore coinvolgimento del Servizio Sociale Penitenziario si è reso necessario, evidentemente, dalla constatazione che negli ultimi anni, per volontà della stessa amministrazione penitenziaria, la figura dell’Assistente Sociale ha gradualmente virato dai compiti e funzioni esplicabili all’interno del carcere, così come previsto in più articoli dell’Ordinamento, riducendo al minimo gli accessi agli istituti e circoscrivendo il proprio intervento alla redazione della relazione sociale finalizzata alle attività di osservazione della personalità.

Di conseguenza, il programma di trattamento individualizzato è rimasto prevalentemente nelle mani e nella responsabilità dello staff multidisciplinare interno, a cui è venuto a mancare la fondamentale visione del Servizio Sociale e il suo specifico apporto operativo.

Art. 40 - “Autorità competente a deliberare le sanzioni”

Il testo attuale dell’art. 40 recita: «1. Le sanzioni del richiamo e dell’ammonizione sono deliberate dal direttore. 2. Le altre sanzioni sono deliberate dal consiglio di disciplina, composto dal direttore o, in caso di suo legittimo impedimento, dall’impiegato più elevato in grado con funzioni di presidente, dall’educatore e da un professionista esperto nominato ai sensi dell’articolo 80.».

La modifica proposta dalla Commissione Ruotolo al 2° comma del suindicato articolo 40 è la seguente: «2. Le altre sanzioni sono deliberate dal consiglio di disciplina, composto dal direttore o, in caso di suo legittimo impedimento, dall’impiegato più elevato in grado con funzioni di presidente, dal funzionario giuridico pedagogico e da un professionista esperto nominato ai sensi dell’articolo 80 o da un Assistente Sociale dell’ufficio di esecuzione penale esterna territorialmente competente. Il consiglio di disciplina può riunirsi, ove necessario, anche avvalendosi di collegamento a distanza».

La rinnovata composizione del Consiglio di Disciplina, come si legge nel testo, sembra essere dettata e motivata più che altro da ragioni di natura burocratica e di convenienza organizzativa. Infatti, la stessa Commissione proponente dichiara nelle note di accompagnamento: «Oltre a un aggiornamento riguardante le professionalità penitenziarie, la modifica è proposta per assicurare la funzionalità dell’organo. Considerato il carico di lavoro già gravante sugli operatori, si prevede la possibilità di partecipazione alle sedute anche da remoto». Come a dire che, se l’amministrazione può attingere per la composizione del Consiglio a una gamma più vasta di operatori, la funzionalità dell’organo disciplinare è facilitata.

Convenienza o riconoscimento professionale?

Le ragioni addotte non sono dunque incoraggianti per il riconoscimento professionale dell’Assistente Sociale, in quanto basate e scaturite da esigenze e calcoli prettamente procedurali e di interesse organizzativo, senza alcun riguardo per il valore complessivo che quella professionalità esprime. Nonostante ciò, va considerato che la prevista presenza nel predetto organo collegiale della figura dell’Assistente Sociale potrebbe rappresentare nel panorama penitenziario una novità di sicuro interesse, in considerazione delle competenze e dei principi valoriali che tale profilo potrebbe apportare alla dialettica interna al Consiglio e al dispiegarsi dei consequenziali processi decisionali.

Va osservato che, al momento, l’organo disciplinare è composto da membri interni alla gerarchia carceraria, cui si aggiunge la figura dell’esperto ex art. 80 L. 354/75 e succ. mod. e integrazioni, che opera presso le strutture penitenziarie con contratti a termine, sottoposti a valutazione periodica: una condizione di lavoro che inevitabilmente ne indebolisce la posizione e il potere contrattuale. La fisionomia dell’organo disciplinare vede prevalere, pertanto, gli esponenti dello staff penitenziario in organico, che per ragioni molteplici sono da considerarsi più o meno direttamente parti in causa, con l’integrazione di professionisti ex art. 80, su cui il ruolo del direttore-presidente assume quasi naturalmente una indubbia preminenza.

Valorizzazione del ruolo  

Anche la figura dell’Assistente Sociale può essere considerata per certi versi “isolata” o “debole” rispetto allo staff interno; quanto meno, però, tale componente risponde a un direttore terzo e fa capo al Dipartimento della Giustizia Minorile e di Comunità, distinto dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. In ogni caso, per specifica formazione e mandato professionale, la figura dell’Assistente Sociale appare senz’altro idonea a svolgere all’interno del Consiglio di Disciplina un ruolo efficace e valorizzante. Ciò vale ancor più nel caso in cui il Consiglio non si riunisca per deliberare una sanzione, bensì per valutare, decidere e deliberare in ordine a proposte di ricompense o di benefici, su cui la professionalità dell’Assistente Sociale non può che offrire un valido contributo alla discussione e alla valutazione.

Tuttavia, affinché l’inserimento di questa professionalità all’interno del Consiglio di Disciplina possa tradursi in una presenza davvero utile è importante che:

1.    l’Assistente Sociale torni a frequentare di persona il carcere, la sua organizzazione e lo staff multidisciplinare interno, rimettendo in discussione l’idea attualmente imperante che la professionalità sociale sia votata ad esplicare la propria azione prevalentemente, se non esclusivamente, all’esterno, poiché tale visione contribuisce a restaurare quella condizione di separatezza tra il dentro e il fuori, che il legislatore ha voluto contrastare e combattere già a partire dal 1975; 

2.    l’Assistente Sociale torni a incontrare di persona i soggetti sottoposti alle misure restrittive, indagandone le storie anche vis-à-vis, attraverso il colloquio professionale; torni a credere e a investire sulle risorse residuali dei soggetti in difficoltà, condividendone percorsi e interventi;

3.    l’Assistente Sociale torni ad essere un referente sicuro e attendibile di chiarificazione e informazione e, laddove necessario, svolgere direttamente e/o indirettamente il ruolo di advocacy e di attenta vigilanza e salvaguardia dei diritti fondamentali. 

È inoltre necessario che l’Assistente Sociale si ribelli alla possibile mortificazione del proprio profilo e dei principi e valori etici e deontologici che incorpora, qualora venisse chiamato a ricoprire nel Consiglio di Disciplina un ruolo subalterno e meramente funzionale alla semplificazione delle procedure (composizione, riduzione dei tempi delle sedute, standardizzazione decisionale).

È per questo che l’eventuale convocazione a partecipare ai lavori di un organo così delicato in “modalità a distanza” debba costituire un campanello di allarme da non sottovalutare.

 

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