I Quaderni dell'Affido, volume 2: le famiglie di origine di fronte agli affidatari

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I Quaderni dell'Affido, volume 2: le famiglie di origine di fronte agli affidatari

L'evoluzione positiva dei vissuti in contrasto all'ostilità dei genitori biologici: attività informativa e di sensibilizzazione verso l'affido

Editing a cura di Monica Vacca

Genitori biologici: quali sono i loro sentimenti?

Di fronte all’inserimento dei propri figli nelle famiglie affidatarie, i genitori biologici – ad avviso dei referenti intervistati – si trovano investiti da sentimenti contrastanti, di segno opposto, sovente mutevoli nel tempo. Vissuti che, all’interno della cornice generale descritta sopra, vanno attenzionati con consapevole competenza, onde accompagnarli verso una evoluzione positiva.

<<Uno sguardo positivo è la premessa affinché si crei sintonia ed empatia tra la famiglia affidante e la famiglia affidataria>>

Affidatari: antagonisti e usurpatori…

Gli intervistati segnalano che non di rado la famiglia di origine percepisce gli affidatari come rivali e ostili. «Non vi è la cultura per comprendere l’istituto e spesso lo si confonde con l’adozione» (M.L., magistrato minorile). Le famiglie di origine «temono che l’affido possa essere l’anticamera dell’adozione e che si voglia, attraverso questo strumento, sottrarre loro i figli» (P.An., magistrato minorile). «In alcuni casi la logica della temporaneità non viene ben compresa o spiegata alla famiglia d’origine che percepisce l’allontanamento come una “minaccia”, una “punizione” da subire, temendo la perdita del legame con il minore. Può capitare che si attivi una dinamica di competitività tra famiglia d’origine e famiglia affidataria. È necessario promuovere costantemente una maggiore attività informativa e di sensibilizzazione sul senso di questo istituto» (L.A., autorità garante minori).

Le famiglie di origine, di fronte agli affidatari, sviluppano facilmente sentimenti di «scarsa positività» (P.I., magistrato minorile) di «indifferenza e ostilità» (P.M., ordine assistenti sociali) e temono di «venire espropriati del bambino [e] che possa allontanarsi affettivamente» (E.G., servizi sociali). La presenza di un’altra famiglia viene «subita, temendo la perdita del figlio» (P.S., assistente sociale, associazione) e «vissuta come una sottrazione» (A.N., servizi sociali).

Uno dei timori più frequenti è di «essere sostituiti nell’affetto dei figli» (F.C., dirigente regionale). Il vissuto di esproprio è così facilmente presente che alcuni operatori dichiarano di non aver potuto mai «osservare opinioni positive da parte delle famiglie dei minori allontanati» (M.S., psicologa, servizi sociali). Piuttosto, «le opinioni delle famiglie di origine in massima parte sono negative perché percepiscono la famiglia affidataria come una rivale, come genitori che potranno fare quello in cui loro "non sono riusciti"; se sarà una coppia senza figli potranno avere il timore che questa possa adottare il proprio figlio e quindi [crescerà] la "paura di perderlo per sempre"» (E.S., assistente sociale, associazione).

… o presenze solidali

Altre volte gli affidatari sono percepiti dalle famiglie di origine «come aiuto» (A.Pe., affidatario, associazione), come presenze «positive [che permettono di] poter essere sollevati da un carico di cura e potersi concentrare sulla soluzione dei propri problemi personali» (E.G., servizi sociali), misura «importante per riorganizzare la vita» (R.M., servizi sociali).

In generale nelle famiglie di origine «l'opinione [verso gli affidatari] è negativa, ma quando si entra nel merito iniziano a rendersi conto della positività dell'affido» (A.P., affidataria, associazione). Hanno «un'idea negativa dell'affido fino a quando non lo sperimentano» (P.C., sociologa, associazione), dopodiché «cambia in funzione della responsabilizzazione» (A.V., servizi sociali) e «in alcuni casi arriva il riconoscimento dell’effettivo aiuto ricevuto» (V.S., M.C., servizi sociali).

L’affidamento «è un progetto condiviso, anche se doloroso. In qualche modo, spiegato e condiviso, funziona» (S.M., ordine assistenti sociali). La famiglia affidataria «è come se fosse una stampella per la famiglia di origine» (O.P., psicologa, terzo settore). Sarà pertanto molto importante «informare sull'affido la famiglia di origine, renderla partecipe. Farle conoscere la famiglia affidataria servirà a far svanire le paure e i fantasmi che possono essere presenti» (E.S., assistente sociale, associazione). Solo con una «grande opera di accompagnamento, di sostegno e chiarificazione [si] riesce a far comprendere [alla famiglia di origine] la valenza di aiuto per sé e i figli» (P.S., assistente sociale, associazione).

L’affidamento familiare «se compreso, viene visto come intervento di supporto. È necessario un lavoro costante sulle famiglie di origine. Si tratta di genitori che sono stati bambini feriti e sentono di non poter essere genitori diversi rispetto a quello che loro hanno ricevuto. Le opinioni positive riguardano il defaticamento: le famiglie di origine si sentono sollevate con la possibilità di concentrarsi sul loro recupero. Se vengono offerte loro, ovviamente, le opportunità per recuperare» (O.P., psicologa, terzo settore).

Per le famiglie di origine, il confronto con le famiglie affidatarie non è mai semplice. Sentono «che esse sono più competenti ed esperte di loro, con senso di inferiorità e/o di competizione. Avvertono comunque che l’affido rappresenta un aiuto, un affiancamento al loro ruolo, seppur provando sentimenti contrastanti» (I.B., servizi sociali). Certo è che «non si può generalizzare l'esperienza in un unico tipo. All'inizio ci sono quasi sempre difficoltà e ostacoli, alcune volte superati benissimo dalla qualità delle relazioni che si costruiscono attorno al bambino con l'aiuto dei servizi» (A.G., affidataria, associazione). È dunque possibile «che i genitori, pur vivendo sentimenti contrastanti, sviluppino un’opinione positiva dell’affidamento, innanzitutto perché esso permette che i figli vivano in un contesto familiare» (F.C., dirigente regionale).

Vi sono famiglie che, nel momento in cui comprendono di avere un bisogno, sviluppano una considerazione positiva dell'istituto dell'affidamento familiare. Uno sguardo positivo, come in tutte le cose, è la premessa affinché «si crei sintonia ed empatia tra la famiglia affidante e la famiglia affidataria – e questa empatia si crea quando la famiglia affidataria è scelta con oculatezza rispetto alla famiglia affidante» (P.A., magistrato minorile).

Sviluppare l’affido consensuale e l’affido diurno

Una delle strade maestre su cui incamminarsi per favorire una effettiva e non oppressiva diffusione dell’affidamento familiare è quella che passa per l’affidamento consensuale. Vari intervistati fanno riferimento a questo aspetto:

«Nell'affidamento emerge più facilmente la positività nel caso dei percorsi consensuali» (G.F., pedagogista, comunità).

«C’è una dimensione – all’interno di un rapporto [autentico] – in cui le persone possono accettare di essere aiutate da altre famiglie. Si tratta di una dimensione su cui, anche se non molto diffusa, ci si potrebbe lavorare» (M.G., assistente sociale, terzo settore).

«[La connotazione positiva dipende] da sé l’affido è consensuale [e da come] l’Ente locale riconosce il lavoro della famiglia» (F.G., servizi sociali).

Su questa base di consensualità, è importante e può essere utile sviluppare «l’affido diurno, perché potrebbe mettere il bambino in un ambiente educativo migliore, per cui non ha una percezione negativa di questo servizio» (E.C., consulente familiare, associazione).

Una strada realizzabile?

Concludiamo questo paragrafo richiamando la riflessione di uno dei dirigenti regionali intervistati, il quale si interroga sulla effettiva realizzabilità dell’affidamento familiare. «È un ottimo strumento che dà e realizza la prossimità garantendo, in linea teorica, il progetto di crescita del bambino non allontanandolo dalla famiglia ma facendo da ponte, offrendogli comunque un ambito familiare che favorisca la sua crescita. Sul punto di vista teorico è uno strumento formidabile. Dico teorico perché nella pratica ritengo che sia uno strumento insufficiente che richiede delle competenze e maggiore attenzione da parte dei servizi, richiede molte energie che spesso i servizi territoriali non hanno» (A.M., dirigente regionale).

Se sei interessato a raccontare la tua esperienza o le tue riflessioni di assistente sociale siamo lieti di pubblicare un tuo articolo sul nostro blog. Per maggiori informazioni contatta la dott.ssa Serena Vitale (redazioneblog@progettofamiglia.org)
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