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Affiancamento familiare degli adolescenti "out of home"
Appropiatezza degli interventi e rilancio del volontariato. L'intervento di Gianmario Gazzi al Convegno "Bond Building for Teens".
Affiancamento familiare: il quadro generale
L'intervento di Gianmario Gazzi - Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali - al convegno svoltosi il 27 Gennaio 2022 è stato strutturato in tre parti: nella prima è stato dato uno sguardo al sistema complessivo; si è poi discusso dei bisogni dei ragazzi coinvolti e delle loro famiglie; infine, nella terza ed ultima parte, ha preso vita una riflessione un po' più critica, in senso costruttivo.
<<Ci concentriamo sul tema dei minorenni fuori famiglia, ma c’è un mondo prima che va sostenuto>>
Il sistema complessivo
«Del sistema complessivo manca una raccolta dati organica. Gran parte delle ricerche svolte nel nostro Paese - afferma Gazzi - dimostrano come il ricorso allo strumento dell’allontanamento del minore fuori famiglia, in Italia, sia più basso rispetto agli altri paesi. Questo perché, innanzitutto, bisogna smontare collettivamente l'idea che quella sia l'unica strada intrapresa. In realtà, il sistema attuale in Italia cerca in tutti i modi di portare strumenti, empowerment e inclusione a disposizione di quelle famiglie.
Ci siamo inventati una serie di servizi per ritardare il più possibile, o evitare, sempre con la logica della prevenzione, l’allontanamento del minore dal proprio nucleo familiare. Questo, però, implica nel sistema complessivo di welfare un investimento preciso, cioè rendere esigibili i diritti sociali delle persone. [...] È evidente che bisogna privilegiare il sostegno alle reti per le famiglie in difficoltà. Ci concentriamo sul tema dei minorenni fuori famiglia, ma c’è un mondo prima che va sostenuto e, per farlo, serve strutturare dei servizi».
Interventi multidisciplinari
Vi è l'urgenza di investire in un insieme di competenze professionali: «Dobbiamo lavorare in questi anni non solo con il PNRR ma anche con la Child Guarantee per strutturare quei livelli essenziali che devono essere garantiti dappertutto, non con la logica riparativa bensì preventiva.
C’è la volontà non solo di strutturare il servizio sociale professionale ma anche delle équipe multidisciplinari. Come si fa? Superando, ad esempio, l’idea che quando parliamo di integrazione sociosanitaria si fa riferimento prevalentemente alla non autosufficienza, alla disabilità e alla salute mentale. Non si può discutere di famiglie affiancatarie, di sostegno e di relazioni positive per i ragazzi presso le strutture, senza considerare tutto il sistema di welfare. Sarebbe una visione monca».
Capitale sociale "extra"
Uno strumento così complesso quale l'affiancamento familiare richiede inoltre un "capitale sociale extra", imprescindibile per attivare opportunità che altrimenti non si avrebbero: «Quando ragioniamo sul sistema di welfare - continua Gazzi - dobbiamo considerare non solo alle motivazioni che hanno portato alla decisione di collocare il minore fuori famiglia, ma anche i suoi bisogni e il sostegno che serve alla famiglia d’origine per far sì che l’affidamento rientri nel proprio ambiente. Ci sono situazioni in cui questo lavoro è possibile, altre no.
Ci si trova, dunque, a dover lavorare per costruire “relazioni significative”. [...] Bisogna considerare i bisogni extra-struttura, non ci si può soffermare solo sulle competenze minime e di sopravvivenza che l'individuo deve avere per diventare adulto. Tutto ciò che sostiene i ragazzi fuori famiglia nel costruire relazioni significative nelle reti della comunità è da considerarsi basilare per la costruzione di qualsiasi progetto d’aiuto. Un intervento che si limiti alla sola collocazione in struttura, con un progetto limitato a figure professionali, sarebbe un progetto decisamente debole e con poca prospettiva».
Riflessioni costruttive
Nell'ultima parte del suo intervento, il Presidente - senza essere eccessivamente critico - propone una riflessione: «Vorrei ragionare su tre spunti: è necessario etichettare queste relazioni cercando di dare loro dei nomi al fine di individuare delle specifiche? Banalmente, siamo arrivati in un punto in cui, nel 2022, dobbiamo provare a definire i diversi ruoli delle persone all’interno delle azioni di volontariato. [...] Ciò che mi domando è qual è la linea di confine tra un volontario e la sua attività e competenza - anche relazionale e di opportunità - e l’individuare un nome, un’etichetta all’attività svolta.
La prevalenza delle strutture e delle realtà dove i minori vengono collocati sono di Terzo Settore. Quest’ultimo, in Italia, ha una storia lunghissima, si è sempre basato sul volontariato, sul tessuto sociale e, appunto, sulle comunità. Citando Borzani e Fazi, si può evidenziare che il Terzo Settore negli anni si è istituzionalizzato, ha posto più attenzione all’aspetto professionale ed economico ma sta perdendo un pezzo importante, quello del volontariato, il capitale sociale all’interno delle comunità di appartenenza. È importante, per tutte queste organizzazioni di Terzo Settore, pubbliche e private, domandarsi come potenziare l’apporto volontario. Dopodiché, possiamo anche dargli un nome».
Lavorare con la comunità
L'affiancamento dei ragazzi out-of-home necessita di un mix di progetti che mettano insieme risorse individuali, collettive e di comunità: investire su quest'ultima, sviluppare spazi di confronto e capacitazione di tutti i soggetti coinvolti, potenziare il volontariato sono tasselli necessari per poter avere adulti competenti che possano diventare un riferimento per le famiglie d’origine e i ragazzi fuori famiglia.
«Lavorare con la comunità - afferma Gazzi - significa lavorare affinché all’interno della stessa ci siano reti e adulti competenti. Sarebbe fondamentale tornare ad investire sulla comunità, sui suoi componenti, attraverso investimenti che siano mirati all’empowerment. Questo ruolo dovrebbe essere esercitato proprio da quei Servizi Sociali territoriali che sviluppano e curano, assieme alle strutture, queste connessioni.
Dobbiamo anche sviluppare, all’interno del sistema della nostra comunità, degli spazi di confronto e capacitazione di tutti i soggetti presenti. Tutto ciò perché quel ragazzo che è fuori famiglia ha la necessità di avere degli adulti significativi fuori e, soprattutto, questi adulti, competenti, possono diventare un riferimento per la famiglia d’origine.
Parlare di relazioni e adulti significativi per questi ragazzi non significa solo parlare delle disponibilità di investimento volontario da parte della famiglia affiancataria, bensì di non pensare mai che una situazione complessa possa essere affrontata con una sola tipologia di intervento. È necessario, infatti, un mix di progetti costruiti da professionisti competenti che mettono insieme tutte le risorse individuali, collettive e di comunità».
Se desideri leggere l'intervento integrale del Dott. Gazzi e gli ulteriori contenuti del Quaderno Affido n°3, Clicca qui.
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