I Quaderni dell'Affido, volume 2: Famiglie di origine e Allontanamento. Parte III

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I Quaderni dell'Affido, volume 2: Famiglie di origine e Allontanamento. Parte III

Ricerca sui vissuti dei genitori di figli allontanati. La percezione dell'allontanamento giudiziale, tra ostilità e conflitti.

Editing a cura di Monica Vacca

Lavorare sul consenso

Più mitigate le valutazioni di una parte degli intervistati, che segnalano quanto l’ostilità delle famiglie di origine nei confronti dell’allontanamento vari molto in base al livello di auto-consapevolezza dei problemi. La conflittualità emerge nei casi in cui i genitori d’origine «non hanno capito i motivi dell’allontanamento» (M.S., psicologa, servizi sociali).

Spesso le famiglie di origine «dimostrano un atteggiamento di comprensione e di accettazione dell'allontanamento quando comprendono le loro fragilità, i problemi personali e relazionali che impediscono di preoccuparsi in modo adeguato dei loro figli» (A.F., L.P. S.T., operatori terzo settore). Quando «non vi è adesione e consapevolezza delle proprie difficoltà [l’allontanamento] è vissuto come un vero e proprio atto di imperio» (P.I., magistrato minorile). Le famiglie sono quindi ostili per mancanza di consapevolezza delle proprie problematiche, ma se si lavora bene si arriva poi «a una presa di coscienza positiva» (R.M., servizi sociali). Si tratta, dunque, di una consapevolezza non spontanea e né automatica. È piuttosto un «pensiero costruito [verso il quale], le famiglie che hanno criticità, vanno accompagnate» (F.G., servizi sociali).

Ad avviso degli operatori intervistati, un altro livello di consapevolezza che occorre promuovere nelle famiglie di origine riguarda la temporaneità di alcuni interventi di allontanamento. Infatti, «in alcuni casi, la logica della temporaneità non viene ben compresa o spiegata alla famiglia d’origine, che percepisce l’allontanamento come una “minaccia”, una “punizione” da subire, temendo la perdita del legame con il minore» (L.A., autorità garante minori). Occorre, pertanto, fare un intenso lavoro di comunicazione e chiarificazione su questo fronte, consapevoli che, anche se poche, possono esservi «famiglie consapevoli che collaborano e [che] lo vivono come aiuto al superamento di difficoltà temporanee» (P.I., magistrato minorile).

Al centro del consenso v’è comunque la consapevolezza dell’obiettivo di benessere che l’allontanamento intende assicurare: «le famiglie di origine danno un significato all’allontanamento di un figlio a seconda di quanto gli è stato spiegato e di come sono state accompagnate, a volte è ben accetto se si comprende fino in fondo l’importanza del benessere che si vuole donare al proprio bambino» (M.P., dirigente comunità). Più di un intervistato invita a tenere presente che l’accettazione da parte delle famiglie dipende da quanto - sul piano culturale - riescano a comprendere la finalità che l’allontanamento ha, uno spazio di «liberazione temporanea del carico di cura per il recupero delle capacità genitoriali» (A.V., servizi sociali).

<<È necessario che chi opera, sia nel settore amministrativo che giurisdizionale, riesca a guadagnare la fiducia dei genitori>>

L’importanza della fiducia

È necessario che «chi opera, sia nel settore amministrativo che giurisdizionale, riesca a guadagnare la fiducia dei genitori» (P.An., magistrato minorile). La scommessa, per prevenire l’opposizione della famiglia di origine agli interventi di messa in protezione dei loro figli, è favorire un'adeguata qualità del rapporto creato con il servizio sociale: «Se questo rapporto è efficace, positivo, costruttivo, la famiglia non vivrà l’allontanamento come una delegittimazione ma, piuttosto, come una forma di aiuto e di sostegno. Io credo che nell’affidamento sia fondamentale l’aspetto della colpa, della responsabilità di un fallimento come genitori naturali. Se i servizi fanno un buon lavoro l’allontanamento non verrà visto come una punizione ma piuttosto come un aiuto che gli viene dato» (A.N., servizi sociali).

L’impegno di servizi adeguatamente presenti e competenti è indispensabile per realizzare un buon lavoro sul consenso. «La linea che divide la violenza dell’intervento dal sostegno è sottilissima. Se non la intercetti, la richiesta sale di livello e le situazioni possono divenire drammatiche. Quindi è importantissimo riuscire a riconoscerla e, soprattutto, far sì che il genitore comprenda che l’allontanamento temporaneo è un sostegno, un rafforzamento della sua capacità genitoriale e non un annullamento. Per questo è importante che magistratura e servizi sociali lavorino insieme. Quando il T.M. ed i S.S. entrano nell’intimità di una famiglia vuol dire che c’è una rottura. Ma dentro la rottura deve esserci un progetto. La rottura in sé è solo un passaggio: ecco perché è importante che entrino Servizi che hanno un progetto per quella famiglia» (S.C., ordine assistenti sociali).

Dal punto di vista delle famiglie, è come se ci fossero due categorie: «Le famiglie che si fidano della persona a cui devono affidare il figlio (ad esempio ad un affidatario del territorio) e che lo vivono come un sollievo; le famiglie che, invece, ne hanno il terrore [e per le quali] diventa una nota veramente negativa» (A.D., affidataria, ex-dirigente scolastico).

L’elemento discriminante può dunque essere la relazione tra famiglia e servizi: «Sicuramente le famiglie hanno paura e diffidenza rispetto all’allontanamento di un figlio, sia esso in affido o in comunità. La causa di tutto ciò è la distanza dei servizi sociali territoriali, che sicuramente non hanno una relazione personale con le famiglie in difficoltà. Spesso cambiano le équipe, gli assistenti sociali, e quindi non si forma quella relazione che fa instaurare una certa fiducia fra le persone che, invece, potenzialmente, migliorerebbe il significato dell’allontanamento temporaneo» (M.B., dirigente comunità). L’iter con i servizi sociali «comporta difficoltà e paure [mentre, a volte,] il percorso diventa un’alleanza positiva» (A.Pe., affidatario, associazione).

Possibili derive

Uno degli intervistati ha efficacemente precisato che, per i genitori naturali, «il significato della locuzione "crescono temporaneamente", riferito ai propri figli, è connesso alla volontà di superare le criticità che hanno determinato l'allontanamento e alla loro voglia di assumersi le [loro] responsabilità» (P.C., sociologa, associazione). In questo può, al contrario, annidarsi il rischio di slittare su atteggiamenti di «totale deresponsabilizzazione» (D.G., avvocato, associazione), soprattutto nei casi in cui «ci si culla sulle proprie difficoltà e si delega completamente il compito ad altra famiglia o alle comunità» (P.I., magistrato minorile).

Il tema dell’allontanamento dei bambini dalle loro famiglie può rischiosamente connettersi con approcci ideologici incapaci di guardare con autentica attenzione e trasparenza al bene dei bambini e dei ragazzi. A lanciare l’alert è uno dei dirigenti regionali intervistati: «A volte c’è la sensazione di avere due linee di pensiero diverso, ovvero da un lato c’è l’idea di pensare che la famiglia sia il bene assoluto e che tutto il resto sia inadeguato,  viceversa si pensa che il bambino abbia soprattutto bisogno di un luogo che abbia delle competenze tecniche educative, ritenendo che la famiglia e il legame con i genitori non abbia un valore di per sé per la crescita sana e congrua del bambino» (A.M., dirigente regionale).

Da un’altra voce giunge l’invito ad operare un discrimine, di cui occorrerebbe approfondire ulteriormente il senso e la portata: «Bisogna distinguere tra famiglie di origine italiane e famiglie di origine straniere. La famiglia straniera vede l'intervento come un aiuto. Per le famiglie italiane, invece, è vissuto come un giudizio di incapacità genitoriale e, di conseguenza, sono spesso oppositive poiché non lo registrano come un aiuto. […] C'è sempre una differenza tra genitori stranieri e italiani. Gli italiani la vivono comunque male» (A.V., affidataria, associazione).

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