Ti perdono per ciò che hai fatto e chiedo scusa se non sono stato un buon figlio...

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Ti perdono per ciò che hai fatto e chiedo scusa se non sono stato un buon figlio...

La vita in comunità e la possibilità di avere una seconda chance. Rieducazione e reintegrazione sociale. La storia di Paolo.

Una seconda chance

Quest'oggi voglio raccontarvi la storia di Paolo - nome di fantasia -, un mio caro amico, e di come la sua vita è cambiata grazie al supporto e al sostegno ricevuto dai Servizi Sociali. Un ragazzo di soli sedici anni ma con un vissuto alle spalle molto difficile.

Nato a Napoli - in uno di quei quartieri dove si è costretti a crescere in fretta e che non sempre propone esempi di vita positivi da poter seguire -, Paolo cresce in una famiglia modesta con entrambi i suoi genitori, la sorellina e Bob...il loro cagnolone. L'ambiente è poco sereno: la madre subisce continue violenze dal marito, alcolista, ed è costretta a lavorare per pochi euro al giorno. Le violenze accadono dinanzi agli occhi dei figli minorenni, entrambi segnati dai forti traumi che subiscono nel quotidiano. Col passare degli anni, il risentimento e l'odio che provano verso la figura paterna aumenta sempre di più, tuttavia non osano ribellarsi alle continue violenze per il timore che possano riversarsi anche su di loro.

<<Paolo è un ragazzo a cui è stata data una seconda opportunità, che ha perdonato e ha vinto>>

 

L'incidenza dei traumi subiti

Paolo è un ragazzo alto e robusto, nasconde tutte le sue fragilità proprio grazie al suo aspetto "imponente". Per aiutare la madre ad affrontare le spese di casa e soddisfare quei piccoli piaceri effimeri che possono derivare dall'acquisto di capi firmati, inizia a svolgere dei lavori per la criminalità organizzata. Mi opposi fortemente ma servì a ben poco. Una sera ci ritrovammo insieme a guardare un documentario sui leoni africani. Ad un tratto, mi disse: «Nel luogo in cui sono nato, devi correre tutti i giorni come una gazzella se non vuoi essere sbranato dalla leonessa». Fu così che giustificò la scelta di intraprendere quella strada.

Durante quel periodo, Paolo venne segnalato per la prima volta al Servizio Sociale dai suoi insegnati a causa della dispersione scolastica. Ritornò dunque a scuola ma ciò non bastò per allontanarlo dalla criminalità, anzi. Per recuperare quanto non aveva guadagnato in quei giorni, decise di commettere una rapina.  Quella stessa sera, sua madre fu ricoverata per le forti ferite causate dall'ennesima aggressione del padre. Paolo si precipitò in ospedale e fu proprio lì che venne arrestato e portato nell'istituto penale per i minorenni di Nisida. Qui trascorse tre mesi, fu poi trasferito in una comunità per continuare il suo percorso rieducativo.

Ti perdono per ciò che hai fatto...

All'epoca, lavoravo in quella stessa comunità. Ci volle un bel po' per fargli comprendere che alcuni atteggiamenti che metteva in atto erano sbagliati. Era abbastanza vulnerabile e aggressivo ma sapevo che questo era solo un suo modo per difendersi. Poco a poco, riuscimmo a buttar giù il muro di protezione che aveva costruito da solo. Dopo due mesi in comunità, gli venne concesso il permesso di poter avere dei colloqui e di rivedere la madre, la sorella e il suo cane.  Quando le vide, scoppiò in lacrime. Finalmente riuscì a liberarsi di tutto ciò che aveva accumulato negli anni, in silenzio. Purtroppo la situazione familiare non era migliorata, anche sua sorella venne collocata in una comunità.

Dopo altri due mesi, incontrò il padre. All’incontro protetto presenziarono l’assistente sociale, la responsabile della comunità, la psicologa e la neuropsichiatra infantile che lo aveva in cura. C’ero anche io, in realtà. Li osservavo da una piccola apertura sul muro coperta da un enorme specchio. Quel giorno vidi un padre piangere, redimersi e inginocchiarsi ai piedi del figlio, implorando perdono. Vidi poi un ragazzo cresciuto, maturo, che riuscì a parlare di tutto ciò che aveva subito per anni: «Sei mio padre, ti ringrazio di avermi donato la vita ma non per quello che mi hai fatto vivere. Non sei stato un buon padre, ti ho odiato tanto e ogni giorno pensavo a come poter avere la mia vendetta. Ad oggi, però, grazie agli educatori della comunità e a tutte le persone che mi son state vicine, ho capito che questa non porta a nulla se non ad altro dolore, che la vita deve continuare e merita di essere vissuta. Ti perdono per ciò che hai fatto e chiedo scusa se non sono stato un buon figlio».

Paolo è uscito dalla comunità all'età di diciotto anni. Si è diplomato, ha seguito un corso per pizzaioli ed ha iniziato a lavorare onestamente. È un ragazzo a cui è stata data una seconda opportunità, che ha perdonato e ha vinto. 

Se sei interessato a raccontare la tua esperienza o le tue riflessioni di assistente sociale siamo lieti di pubblicare un tuo articolo sul nostro blog. Per maggiori informazioni contatta la dott.ssa Serena Vitale (redazioneblog@progettofamiglia.org)
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