Gruppi sefl-help: il potere curativo della condivisione

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Gruppi sefl-help: il potere curativo della condivisione

Auto-aiuto, dialogo e solidarietà: un momento di "unione" per superare insieme le medesime difficoltà.

Unione solidale

I gruppi self-help costituiscono uno strumento in grado di creare ed incentivare un'elevata soglia di autonomia nelle persone che ne fanno parte, che hanno modo di sperimentare la sua efficacia e duttilità. L’approccio umano, l'équipe multidisciplinare che prende parte al percorso, le persone che partecipano, fanno dell’auto-aiuto un momento di "unione", creando solidarietà. A tal proposito, ho intervistato la Dott.ssa Giovanna De Palma, psicoterapeuta rogersiana.

<<Ognuno racconta la propria situazione rendendo gli altri coscienti di non essere gli unici ad affrontare, o ad aver affrontato, determinate difficoltà>>

Punti di forza

Il self-help è una forma di auto-aiuto ampiamente affermata, che nasce dall'esigenza di condivisione e sostegno emotivo di coloro che vivono un problema comune. Infatti, ha lo scopo di migliorare le capacità psicofisiche dei partecipanti, ma non solo. Quali sono, per lei, i suoi principali punti di forza?

Il primo punto di forza è costituito dall’incontro del gruppo che, seppur avviene in presenza di professionisti, ha una propria autonomia e incentiva il potenziamento dell'empowerment tra i membri. Il dialogo che si instaura tra i diversi partecipanti ha un enorme potere curativo, che si traduce in “universalità”: ognuno racconta la propria situazione rendendo gli altri coscienti di non essere gli unici ad affrontare, o ad aver affrontato, determinate difficoltà.

Si instaura una forte solidarietà che inevitabilmente crea un senso di fiducia, di coesione e di speranza tra le persone coinvolte, dando vita a forme di altruismo ben visibili all'occhio dei professionisti che seguono le dinamiche gruppali, specie quando si affrontano temi delicati come quello dell’affido.

Il self-help nella rete socio-assistenziale

Numerose sono le attività che lei svolge, ha ormai acquisito una visione completa del processo di auto-aiuto e delle sue sfumature. Dove colloca la pratica del self-help nella vasta rete che oggi caratterizza il processo socio-assistenziale?

E’ una domanda che ci siamo posti tante volte. Col passare del tempo, abbiamo intravisto in questi gruppi forme di apprendimento che partono dall’esperienza, in quanto si ricevono degli input che permettono di elaborare il fenomeno che si sta affrontando. Presso l’associazione Don Bosco di Roma del quinto municipio, prima di procedere con la creazione di gruppi misti contraddistinti dalla presenza di nuclei familiari coinvolti in percorsi di affido e/o adozione, abbiamo spesso effettuato dei corsi di formazione.

Il metodo dell’auto-aiuto si colloca in uno spazio aperto che si adatta alle esigenze e alle problematiche vissute. In ogni caso, è doveroso ricordare che le tematiche che il gruppo affronta non per forza devono avere un’accezione patologica.

Un'équipe multidisciplinare

È prevista, durante il percorso, la presenza di specifiche figure professionali? Se sì, quali?

Aldilà della presenza fisica nel momento in cui il gruppo si incontra, c’è sempre un’équipe multidisciplinare alle spalle di quest’ultimo, simbolo della presenza di numerosi professionisti. Troviamo l’assistente sociale del comune, psicologi, pedagogisti, operatori dell’ASL, un insieme di professionisti che varia in base all’occorrenza alle necessità. Nel caso di famiglie affidatarie, ad esempio, ci sarà non solo l’assistente sociale della famiglia di origine ma anche lo psicologo che segue entrambe le famiglie e il pedagogista che cura gli spazi di incontro tra le due.

Esperienze concrete

C'è stata un'esperienza che ricorda in modo particolare per via degli ottimi risultati ottenuti, che ha evidenziato dati significativi? Se sì, me la racconti.

Tra le tante esperienze avute negli anni, una che ricordo con molto piacere è l’aiuto dato ad una famiglia affidataria che ha accolto per sei mesi un ragazzo straniero di 17 anni. Abbandonato dal padre in un centro di accoglienza a 16 anni, il minorenne ha successivamente vissuto con la famiglia affidataria - anche dopo aver compiuto la maggiore età - trovando una sua stabilità emotiva e proseguendo il suo percorso di studi.

Ciò dimostra non solo la forza dello strumento del self-help ma anche, e soprattutto, la forza del lavorare in rete...anche quando si tratta dell’istituto dell’affido che, seppur a volte di breve durata, rimane un’esperienza solidale che aiuta e segna positivamente le persone coinvolte.

L'approccio...

Quale dovrebbe essere l'approccio di chi vuol ricorrere a questa forma di supporto?

Quello che suggerisco a chiunque si avvicini a questo strumento, dalla persona al professionista, è un approccio umano, scientifico e professionale. Per esperienza personale, col tempo ho smesso di ricercare con gli altri professionisti il "paradigma migliore": ognuno si può trovare a maggior agio con un determinato riferimento piuttosto che un altro, magari meno adatto a quel caso specifico.

Il confronto sul piano intellettuale, però, deve sempre esserci. Bisogna tener bene in mente il continuum tra libertà e disciplina, dato che lavoriamo con le persone e l’approccio umano, oltre la teoria, è fondamentale.

Solo tre parole!

Infine, se dovesse descrivere questa forma di auto-aiuto con 3 parole, quali utilizzerebbe?

Rispetto umano, empatia e congruenza. Il rispetto umano inteso come accettazione incondizionata dell’altro, anche nelle sue fragilità o nei suoi errori. L’empatia e la congruenza, intese una come comprensione e l'altra come coerenza tra quello che si dice e quello che si pensa.

Il professionista mette se stesso in quello che fa e nel rapportarsi con il gruppo. La congruenza crea armonia nel gruppo e permette di dare continuità a ciò che si fa, ottenendo fiducia dalle persone che si affidano a questo prezioso strumento e ai professionisti che li aiutano a sperimentarsi.

Se sei interessato a raccontare la tua esperienza o le tue riflessioni di assistente sociale siamo lieti di pubblicare un tuo articolo sul nostro blog. Per maggiori informazioni contatta la dott.ssa Serena Vitale (redazioneblog@progettofamiglia.org)
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