Quando il lavoro diventa logorante: la sindrome di Burnout

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Quando il lavoro diventa logorante: la sindrome di Burnout

Burnout e professioni d’aiuto. Fattori psicosociali e organizzativi: stretto contatto con l’utenza e coinvolgimento emotivo

L’origine

Burnout è un termine di origine inglese che letteralmente significa "bruciato", "esaurito" o "scoppiato".  Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, il burnout è una sindrome derivante da stress cronico associato al contesto lavorativo, che non riesce ad essere ben gestito.

«Ogni singolo operatore, dovrebbe sviluppare la consapevolezza dei propri limiti »

Perché è tipica delle professioni di aiuto?

Un operatore sociale è sottoposto a ritmi di lavoro intensi, richieste pressanti. La responsabilità della propria professione richiede un grande investimento di energie e risorse che, nel tempo, può facilitare la comparsa di questa forma di esaurimento

La sindrome di Burnout accomuna tutte le professioni di aiuto, probabilmente, per via del contatto ravvicinato con situazioni logoranti dal punto di vista emotivo all’interno del contesto lavorativo. Si riferisce, infatti, ad un vissuto di demotivazione, delusione e disinteresse. 

Si manifesta tramite sintomi molto comuni, associabili ad altre problematiche, quali cefalea, mal di stomaco, stanchezza. Sarà importante, per questo, non sottovalutare determinati sintomi affinché si possa prevenire al meglio. 

Fattori determinanti

Nelle professioni di aiuto, l’insorgere del burnout è determinato sia da fattori psico-sociali, quanto organizzativi: tra i primi, ad esempio, lo stretto contatto dell’operatore con l’utenza così come il costante e significativo coinvolgimento emotivo nelle problematiche dell’utente. 

La relazione di aiuto molto spesso è fonte di stress, sia per il proprio vissuto professionale sia per il contatto reiterato e prolungato con la sofferenza altrui, in particolare di fronte a specifici reati. 

L’assistente sociale, in particolare, per via delle capacità emotive che contraddistinguono la professione, vive il proprio lavoro in modo totalizzante, assorbendo le dinamiche che coinvolgono i propri utenti, molto spesso, in prima persona. 

Come contrastare tale rischio?

Nonostante sia molto sviluppato, il fenomeno del burnout appare ancora poco conosciuto in particolare dagli stessi operatori delle professioni di aiuto.

I Servizi operanti nel contesto sociale dovrebbero poter investire risorse per prevenire il rischio soprattutto partendo dalla considerazione che il burnout non è una questione legata al singolo individuo, ma è una fenomenologia di un disagio di un intero sistema lavorativo

Ogni singolo operatore, dovrebbe sviluppare la consapevolezza dei propri limiti, quindi chiedere aiuto, qualora ci fosse la necessità, ma anche possedere gli strumenti conoscitivi per riconoscere, se possibile ai primi stadi, l’insorgere di tale sindrome.

L’empatia: un’arma a doppio taglio?

Molto spesso sentiamo parlare di empatia, un concetto che richiama il mettersi nei panni dell’altro

Essere empatici è sicuramente una grande qualità, ma può interferire nell’esercizio della professione dal momento in cui l’operatore si sente profondamente legato con il dolore altrui, concependo il lavoro come una missione salvifica che non lascia spazio ai necessari momenti di riposo, relax, cura di sé.

L’operatore dovrà cercare di difendersi dall'empatia, anche se non costituisce la soluzione al problema. Bisognerà infatti, concepire l’empatia come una qualità positiva, non come continua esposizione alla sofferenza altrui, evitando che possa intralciare il nostro percorso lavorativo e personale. 







Se sei interessato a raccontare la tua esperienza o le tue riflessioni di assistente sociale siamo lieti di pubblicare un tuo articolo sul nostro blog. Per maggiori informazioni contatta la dott.ssa Serena Vitale (redazioneblog@progettofamiglia.org)
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