La rieducazione della pena come diritto fondamentale del condannato (parte I)

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La rieducazione della pena come diritto fondamentale del condannato (parte I)

Rieducazione: senso di umanità, reinserimento, controllo, fiducia, nuova vita. Sovraffolamento carcerario, sfiducia e recidiva.

La rieducazione e lo Stato 

In Italia, la rieducazione non può essere né sottovalutata né lasciata da parte, significherebbe non considerare uno dei principi Costituzionali; nonostante questo, però, non sempre è garantita. Lo Stato ha il compito di trasmettere i valori espressi nella Costituzione, indipendentemente che siano accettati o no dalla società. È impensabile negare a ogni condannato il diritto alla rieducazione, sarebbe come non permettere alla società una forma di prevenzione. 

«Se ci fosse la possibilità di una nuova vita, chi esce dal sistema penale dovrebbe essere considerato parte integrante della società» 

Articolo 27 della Costituzione Italiana 

I doveri che l’istituzione carceraria ha nei confronti dei detenuti sono regolamentati e disciplinati dall’articolo 27 della Costituzione Italiana, che, al terzo comma, ribadisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.  

Il legislatore propone la creazione delle condizioni necessarie affinché il condannato possa reinserirsi nella società in modo dignitoso, aiutandolo a non commettere nuovi reati. 

Cosa si intende per diritti inviolabili?  

Si è parlato molto di diritti inviolabili, in quanto non vi può essere rieducazione senza il rispetto di determinati diritti. Tra questi ricordiamo il diritto ad avere uno spazio in cui vivere, lavarsi, prendersi cura di se stessi che sono tutt’altro che azioni scontate, o superficiali, ma segno di salute mentale, di controllo.  

Per un detenuto è importante avere il controllo di sé e dell’ambiente in cui vive, i detenuti devono avere la possibilità di vivere la normalità per quanto possibile, in modo da non dimenticare cosa comporta vivere all’esterno del carcere, nella società. 

La difficoltà della rieducazione: sfiducia o impossibilità? 

Come può l’istituzione carceraria offrire una possibilità di rieducazione ai detenuti se, guardando i dati, le condizioni degli istituti sono tutt’altro che ottimali? Il sovraffollamento carcerario in Italia supera il 100%.   

Dai dati è emerso che oggi, sono all’incirca in 4.000 i detenuti che non hanno un posto regolare all’interno delle strutture di detenzione. Il dato più preoccupante è la recidiva che oggi in Italia è del 70%.  

Questa sfiducia nella possibilità di diminuire la recidiva dei devianti si esprime anche nella difficoltà di comprensione della scelta professionale degli operatori: il carcere è visto esclusivamente come uno strumento di annientamento e di distruzione non solo dalla società, ma dagli stessi operatori. 

Rieducare o “buttare le chiavi”? 

Comprendere il tema rieducativo è molto complesso. Considerare il carcere come luogo di punizione o vendetta genera violenza, che può essere fermata solo con il controllo, garantito dalle figure professionali di competenza. 

Se ci fosse la possibilità di una nuova vita, chi esce dal sistema penale dovrebbe essere considerato parte integrante della società, un uomo o una donna nuovi.  

Il sistema penale però non offre questa possibilità, anzi, peggiora la condizione psichica e comportamentale dei detenuti. Sentiamo molto spesso la solita frase “gettiamo la chiave tanto non possono cambiare”, ma è proprio questo che bisognerebbe cambiare, il modo di vedere le cose, ricordando che il carcere nasce come istituto di rieducazione. 

Se sei interessato a raccontare la tua esperienza o le tue riflessioni di assistente sociale siamo lieti di pubblicare un tuo articolo sul nostro blog. Per maggiori informazioni contatta la dott.ssa Serena Vitale (redazioneblog@progettofamiglia.org)
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