Affido familiare e solidarietà sociale: educare all'accoglienza

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Affido familiare e solidarietà sociale: educare all'accoglienza

La crescita del capitale sociale familiare e la dilatazione dei bisogni di cura. L'equilibrio tra la libertà individuale e i legami interpersonali: la disponibilità al dono reciproco nelle relazioni di vicinanza.

Crescita della solidarietà informale e dei bisogni di cura

Offrire un’analisi esclusivamente negativa del contesto sociale contemporaneo sarebbe scorretto e parziale. Varie indagini sui comportamenti sociali, infatti, evidenziano una costante crescita del volume complessivo della solidarietà. Una fonte preziosa è la ricerca condotta dall’ISTAT - negli anni 1983, 1998, 2003 e 2009 - sugli stili di vita familiari, che analizza l’andamento delle reti di solidarietà inter-familiare, indicando con questo termine le relazioni di mutuo sostegno tra persone non conviventi. Un'altra importante fonte è quella dei Rapporti sulla famiglia pubblicati dal CISF-Centro Internazionale Studi Famiglia di Milano, che hanno indagato - negli anni 2009, 2011 e 2013  - sul cosiddetto capitale sociale familiare, cioè sulla capacità delle famiglie di vivere e diffondere fiducia e sostegno, sia tra i propri membri che nei confronti di persone esterne, e da cui sono emersi dati positivi.

Ci troviamo, tuttavia, di fronte ad uno scenario nel quale all’aumento delle ore di aiuto informale non corrisponde un incremento del numero dei beneficiari. I rapporti ISTAT, indagando sulle cause di questa riduzione, evidenziano che essa è dovuta in gran parte all’aumento del fabbisogno di aiuto, da attribuire a tre importanti cambiamenti: il significativo incremento della percentuale di popolazione anziana, che causa ancor più intensamente la crescita delle esigenze di cura della fascia ultraottantenne; l’ampliamento dell’inserimento lavorativo delle donne, che determina l’incremento del bisogno di aiuti nella cura dei figli; la già richiamata riduzione del numero dei componenti delle famiglie, causata dal calo delle nascite e dalla fragilità coniugale, e quindi l’indebolimento delle forme di sostegno assicurate dalle reti familiari e parentali.

Le reti di aiuto informale, dunque, anche se ampliatesi, non reggono il passo della dilatazione dei bisogni di cura. Dato assai importante per servizi e associazioni/reti che hanno la mission di accompagnare l’aumento delle pratiche di solidarietà e di accoglienza tra le famiglie di un territorio.

 <<Una relazione di vicinanza non può essere né prescritta, né prodotta artificialmente...ma può essere facilitata>>

 Mutamento e individualizzazione della partecipazione

Un ultimo gruppo di informazioni da tener presente nella promozione dell'affidamento e solidarietà familiare è quello relativo alle varie forme di partecipazione alla vita sociale. Ricorrendo alle serie storiche dell’ISTAT dal 1993 al 2015, emerge un calo della partecipazione ad associazioni professionali, di categoria e alle organizzazioni sindacali. Per converso, si registra un aumento del 50% della partecipazione ad associazioni di volontariato.

Tuttavia, a fronte di questi segnali positivi, i rapporti degli ultimi quindici anni sull’associazionismo evidenziano un processo di frammentazione e di indebolimento complessivo. Molte associazioni si presentano sempre più scollegate tra loro e di dimensioni decrescenti. Tra l'altro, vi è una diffusa riduzione dello spirito di gratuità, con una progressiva tendenza all’aumento degli operatori retribuiti e alla professionalizzazione dei volontari.

Questi due dati inducono ad ipotizzare un nesso di casualità tra la crisi delle relazioni (tra le associazioni e all’interno di esse) e l’erosione della gratuità e della disponibilità al dono: più solitudine = meno gratuità”. Si tratta di una sottolineatura intenzionalmente estremizzata, non rappresentativa di tutta la realtà, utile per la spinta riflessiva che genera.

Verso la logica del dono reciproco

In questo scenario di rarefazione relazionale è pressoché automatico che si attivi una sorta di “nostalgia” e l’invito, da più parti, a ritrovare il gusto perduto delle relazioni e della mutualità. Occorre seguire un cammino in avanti, cercando il giusto equilibro tra la libertà individuale e legami interpersonali. Di reciprocità e fiducia s’avverte un gran bisogno. Gioacchino Lavanco, professore ordinario di psicologia di comunità all’Università di Palermo, evidenzia l’importanza «Di predisporre un intervento finalizzato al cambiamento, con particolare attenzione agli interventi nel sociale, che vanno dall’aumento del senso di efficacia personale e collettiva, alla promozione del benessere in tutte le sue forme»

Occorre lavorare per far emergere pienamente il potenziale e, ancor prima, indossare i giusti occhiali relazionali, per coglierne le tracce diffuse nell’ordinario: padri che insieme organizzano tornei per giocare con i propri figli; gruppi di self-help che veicolano condivisione e mutuo aiuto tra le persone; schiere di persone impegnate gratuitamente in associazioni, gruppi, parrocchie, reti… per offrire la propria vicinanza gratuita agli altri, ecc. Segnali di relazionalità, a volerli vedere, ce ne sono anche in sovrabbondanza, tutti espressione di quella innata capacità di interazione presente nella gran parte delle persone. La materia prima c’è. Occorre valorizzarla e moltiplicarla.

Certo, non sarebbe possibile moltiplicare ciò che non c’è. Le relazioni e i legami tra le persone non possono essere creati dal nulla; chi se ne fa promotore deve guardarsi dall’indossare i panni dell’ingegnere o dell’inventore e prendere i più umili abiti: dello scout, cioè del “cercatore” di talenti già presenti, ancorché non immediatamente evidenti e fruibili; dell’allenatore di energie già in campo; dell’animatore di disponibilità e sensibilità già attive; del coltivatore di germogli e, talvolta, di semplici semi. Come ben dicono Santinello e Vieno, una relazione di vicinanza «Non può essere né prescritta, né prodotta artificialmente ma può essere facilitata».

Insomma, quel che occorre è valorizzare, sostenere, accompagnare la crescita di quanto già c’è. Viene in mente il significato del termine educare che, com’è noto, viene dal latino "e-ducere", cioè "tirar fuori". Evidentemente si può tirar fuori solo qualcosa che è già presente. Sotto questo aspetto, dunque, l’opera della diffusione dell’affidamento familiare e – più in generale – della solidarietà tra persone e famiglie ha una natura eminentemente educativa.

Se desideri continuare a leggere i contenuti del libro "Promuovere l'Affidamento Familiare - Buone prassi e indicazioni metodologiche per l'intervento dei Servizi Sociali" clicca qui.

NOTE

Estratto del libro di M.Giordano, "Promuovere l'AffidamentoFamiliare - Buone prassi e indicazioni metodologiche per l'intervento deiServizi Sociali", Franco Angeli, 2019, pp. 34-41

Se sei interessato a raccontare la tua esperienza o le tue riflessioni di assistente sociale siamo lieti di pubblicare un tuo articolo sul nostro blog. Per maggiori informazioni contatta la dott.ssa Serena Vitale (redazioneblog@progettofamiglia.org)
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