L’amministratore di sostegno nel divorzio e nella separazione

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L’amministratore di sostegno nel divorzio e nella separazione

Poteri dell’amministratore di sostegno, situazioni soggettive personali e personalissime. Tutela dei soggetti deboli nei processi di separazione e divorzio prima e dopo la legge 6/2004.

Quali sono i poteri dell’amministratore di sostegno?

L’art. 405 c.c., 4° comma, n. 3, disciplina i poteri di rappresentanza esclusiva dell’amministratore di sostegno. Si tratta di poteri che lo stesso può compiere per nome e per conto del beneficiario. «Il legislatore prefigura qui un meccanismo molto simile a quello della tutela»[1]. Il successivo n. 4 affronta, invece, una seconda categoria di atti: quelli che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno. La terza categoria riguarda tutti quegli atti per i quali il beneficiario conserva piena capacità di agire.

«L’amministrazione di sostegno è uno strumento che presuppone esclusivamente un’incapacità relativa, riferita soltanto agli atti espressamente limitati dal provvedimento del Giudice Tutelare, mentre la restante gestione rimane di competenza dell’amministrato»

Chi è l’amministratore di sostegno?

«L’amministratore di sostegno è uno strumento che presuppone esclusivamente un’incapacità relativa, riferita soltanto agli atti espressamente limitati dal provvedimento del Giudice Tutelare»[2], mentre la restante gestione rimane di competenza dell’amministrato.

In virtù dei principi di flessibilità e proporzionalità che caratterizzano l’amministratore di sostegno e dato il potere del giudice tutelare di modificare il decreto in ogni momento, lo stesso potrà, anche su istanza dell’amministratore o dello stesso beneficiario, esaminato quest’ultimo, integrare il decreto, modificando le preclusioni e le limitazioni eventualmente imposte.

Si distingue dunque, dai tradizionali istituti dell’inabilitazione e dell’interdizione, là dove questi ultimi sono finalizzati soprattutto alla cura patrimonii del beneficiario, mentre l’amministratore di sostegno si estende alla cura personae.

In tal modo il legislatore ha inteso correggere la rigidità della normativa codicistica originaria, la quale, conosceva soltanto le figure dell’interdizione e dell’inabilitazione, figure accomunate dalla rimozione della capacità di agire. Finalità della figura dell’amministratore di sostegno è quella di fornire alla persona un sostegno nelle sue disabilità, riconoscendo le sue capacità residue.

La nozione di atto personalissimo e atto personale 

In via generale si può affermare che gli atti personalissimi «costituiscono quella categoria di atti che rappresentano l’esplicazione delle libertà individuali  più intime ed insopprimibili della persona,  nelle quali la stessa si realizza manifestando le proprie convinzioni ed il proprio modo di essere individuale».[3]

Nell’ordinamento italiano non sono presenti norme che attribuiscono al Giudice tutelare un potere totale di sostituzione di un soggetto incapace nell’esercizio di diritti personalissimi. Recentemente, però, la Suprema Corte, ha affermato espressamente che ‘alla luce di un’interpretazione sistemica ed evolutiva, deve ammettersi la possibilità per l’amministratore di sostegno, qualora nominato, di coadiuvare o affiancare la persona bisognosa nell’espressione della propria volontà, preservandola da eventuali pressioni o ricatti esterni anche relativamente al compimento di atti personalissimi’.

Gli atti personali, invece, non possono essere definiti “atti personalissimi”, poiché sono assoggettabili entro certi limiti e a certe condizioni all’uso di strumenti rappresentativi. Non sussistono dubbi nel ritenere, però, che anche in relazione a tali atti personali, il soggetto dichiara la propria volontà a perseguire determinati interessi tutelati dall’ordinamento.

Limitatamente  a tale volontà, parte della dottrina e della giurisprudenza sono arrivate ad ammettere  l’uso di strumenti rappresentativi/assistenziali attraverso il criterio della ricostruzione della volontà del soggetto interessato.

La separazione personale e il divorzio prima della legge 6/2004

Prima della nascita dell’istituto dell’amministratore di sostegno, il problema della separazione personale aveva già interessato le preesistenti misure dell’inabilitazione e dell’interdizione. La dottrina maggioritaria sosteneva, che all’interdetto era proibito il diritto di ottenere la separazione personale e il divorzio, e con essa, la relativa legittimazione processuale. Si affermava, sul piano sostanziale che, così come all’interdetto era vietata la possibilità di contrarre matrimonio, allo stesso modo, non poteva non essergli impedita la facoltà di ridurre o cessare tale vincolo.

In secondo luogo, si evidenziava che, per gli atti personae, a differenza di quelli patrimonii, non era dato rinvenire per il tutore un generale potere di rappresentanza. Ad ogni modo le suddette problematiche sembrerebbero nascere a causa di quanto dispone l’art. 150, 3° co, c.c., il quale prevede che «il diritto di chiedere la separazione giudiziale o consensuale spetta esclusivamente ai coniugi».

Un’interpretazione stricti iuris del quadro normativo e giurisprudenziale antecedente la legge 6/2004 avrebbe portato a negare, in capo all’amministratore di sostegno, la legittimazione a proporre una domanda giudiziale afferente al vincolo coniugale: era tuttavia chiaro che detta impostazione risultava eccessivamente formalistica e scarsamente garantista[4]. 

L’evoluzione in materia di separazione e divorzio

Oggi con l’introduzione dell’istituto dell’amministratore di sostegno, la situazione è mutata e si è registrata una inversione di rotta rispetto al passato. La prevalenza della cura della persona rispetto a quella patrimoniale ha condotto a ritenere che non si dovrebbe impedire al beneficiario di compiere atti inerenti ai rapporti di famiglia in quanto espressione di diritti fondamentali della persona.

Niente è più personale della libertà di sposarsi o di liberarsi di un matrimonio intollerabile. Inoltre, c’è la necessità di garantire all’interessato tutta la protezione e l’assistenza necessarie per evitare che l’esercizio di tali diritti fondamentali possa ledere ai suoi interessi o a quelli altrui.

Su tali basi si fonda un’importante pronuncia del Tribunale di Cagliari[5], secondo cui è da ammettersi l’iniziativa dell’amministratore di sostegno nell’enunciazione della domanda di divorzio. Essa, però, in quanto manifestazione piena della volontà del  soggetto quando era in condizione di totale capacità, deve essere attentamente analizzata dal giudice mediante un accertamento positivo della corrispondenza della stessa alla volontà del titolare del diritto in tema di scelte fondamentali di vita che riguardano la sfera più intima della persona.

In conclusione, l’attuale giurisprudenza oggi è concorde nel garantire alla figura dell’amministrazione di sostegno anche l’esperimento delle azioni dirette ad ottenere il divorzio o la separazione delle persone prive, in tutto o in parte, di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana.

 

 


[1] R. Masoni, Amministratore di sostegno, orientamenti giurisprudenziali e nuove applicazioni, Maggioli Editore, Ravenna, 2009, p. 297.

[2] E. Meloni - M. Pusceddu, Amministrazione di sostegno, interdizione e inabilitazione, percorsi giurisprudenziali, Giuffrè editore, 2010, p. 99.

[3] R. Masoni - Farolfi, Amministratore di sostegno: consenso alle cure, atti personalissimi, fra incertezze e novità in tema di scelte di fine vita, in Nuova Giur . Civ. Comm., 2015, p. 438.

[4] A. Graziosi, I processi di separazione e divorzio, Giappichelli Editore, Torino, 2011, p. 408.

[5] V. Trib. Cagliari, sez. civile, 15 giugno 2010.


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