Enea oggi, Elisa o Martina domani: come può essere inteso l’abbandono?

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Enea oggi, Elisa o Martina domani: come può essere inteso l’abbandono?

Culla per la vita, parto in anonimato, abbandono minorile. Un complesso fenomeno sociale osservato con uno sguardo senza pregiudizi.

Il fenomeno dell’abbandono

Sono all’incirca 3000 i neonati che ogni anno, dopo il parto, vengono abbandonati dai propri genitori. È questa la stima indicata dalla Società italiana di neonatologia, una realtà che da tempo pone l’attenzione su questo complesso fenomeno sociale le cui radici faticano a districarsi dalle diverse problematiche che affliggono la comunità odierna.

<<Dietro un scelta così dolorosa possono celarsi sì dei disagi, ma anche delle volontà che tutti noi dobbiamo rispettare>>

Una cambiamento che sconvolge

La nascita di un bambino è un evento importante e significativo, che inevitabilmente stravolge il quotidiano di ogni coppia e incide sulla loro stabilità emotiva ed economica. La maternità, al contrario di quanto si pensa, comporta delle nuove responsabilità a cui non sempre si è pronti a rispondere. Non tutte le donne, infatti, affrontano questo periodo con il medesimo stato d’animo e la medesima serenità, complici le difficoltà che possono insorgere sia durante il periodo di gestazione che dopo, allorquando si dovrà rispondere tempestivamente ai bisogni dei nascituri. Per tal motivo è necessario garantire alle stesse, fin dai primi giorni di gravidanza, supporto e comprensione; anche quando ciò che si ascolta e osserva si discosta, in toto o in parte, dal nostro pensiero: il fine ultimo è infatti massimizzare il benessere sia della madre che del neonato, senza pregiudizi.

Le culle per la vita

Lo Stato italiano, è risaputo, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio, altresì garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile. Laddove dovessero sussistere condizioni che potrebbero alterare o limitare questi requisiti, vi è la possibilità di ovviare grazie a delle “soluzioni” proposte dallo Stato stesso.

Una di queste riguarda l’introduzione delle “culle per la vita”, ovvero culle termiche dove poter porre i neonati in totale anonimato. Le stesse sono presenti in varie strutture, per lo più ospedali e orfanotrofi, e sono in grado di assicurare le cure di primo soccorso grazie alle videocamere di cui sono dotate. La legge italiana, inoltre, garantisce alla donna che decide di non riconoscere il proprio bambino il diritto di partorire in completo anonimato e con la massima riservatezza. Il parto in anonimato è stato infatti disciplinato proprio per porre in parte rimedio al fenomeno dell’abbandono. Ad entrambi, dunque, sarà fornita assistenza sanitaria e tutela giuridica. L’intento è quello di mettere in sicurezza ogni neonato ed evitare morti certe. Tutto ciò, nel rispetto totale della donna che ha partorito e della scelta intrapresa.

Amare con consapevolezza

Premesso questo, di recente abbiamo assistito ad un concreto caso di abbandono che ha scatenato innumerevoli polemiche. Variegate sono infatti le discussioni derivate da questo episodio: se da un lato c’è chi ha lanciato appelli alla madre naturale affinché potesse cambiare idea, dall’altro c’è chi la condanna e giudica la sua decisione. Insomma, è stato innescato una sorta di dilemma morale che quest’oggi proveremo a chiarire.

Come affermato in precedenza, le persone da tutelare sono due: la donna partoriente e il nascituro. Alla prima viene assicurata un’assistenza sanitaria e il totale anonimato; al bambino, paradossalmente, tramite l’abbandono viene garantito in primis il diritto a crescere in una famiglia. In caso di non riconoscimento, immediata infatti è la segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni che, trascorsi dieci giorni dalla nascita e appurato l’effettivo abbandono da parte dei genitori biologici, dichiarerà lo stato di adottabilità del neonato. Il bambino, dunque, potrà avvalersi dell’istituto disciplinato dalla Legge n°184/83 ed essere accolto presso una famiglia che potrà donare lui tutto l’amore e il sostegno di cui necessita, anche dal punto di vista economico.

A questo punto, una domanda sorge spontanea: “Possono due genitori amare un figlio procreato da altre persone?”. La risposta è sì, perché questi amano con consapevolezza.  A dimostrarlo sono le numerose esperienze di accoglienza familiare attualmente attive nel nostro paese, così come i sorrisi stampati sui volti di tanti bambini che, proprio grazie all’adozione e all’affido, hanno avuto la possibilità di cambiare la propria vita.

Atto d’amore o fallimento sociale?

Alla luce di quanto affermato, possiamo definire la scelta di questi genitori – oggi di Enea, domani di Elisa o Martina – come un atto fallimentare o possiamo, al contrario, definirlo come un atto d’amore e di responsabilità? Adottando uno sguardo che persegue una direzione lontana dai pregiudizi, la risposta arriva in modo quasi spontaneo: un neonato abbandonato in una culla per la vita non è un fallimento della società, bensì una salvezza.

Dietro questa scelta così dolorosa possono celarsi sì dei disagi, ma anche delle volontà che tutti noi dobbiamo rispettare. Ciò nel bene, in primis, del bambino…a cui potrà poi esser garantito amore per la vita.

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