Giacomo e il vivo desiderio di voler fare di più

Giacomo e Cristina, una luce di speranza lungo un cammino burrascoso.

La storia di Andrea, un bambino di 10 anni con dubbi e timori. Il viaggio verso l'ambita responsabilità.

Amore a prima vista

«Ho sempre sentito il desiderio di fare qualcosa di concreto per il bene del prossimo. Già la mia famiglia si era presa l’impegno di inviare ogni mese una somma di danaro ai missionari, ma questo non faceva tacere in me quella vocina…»

Ho sempre sentito il desiderio di fare qualcosa di concreto per il bene del prossimo. Ma come? Mi avevano sempre commosso le storie di quei bambini che crescevano negli istituti. Un giorno, in Parrocchia, ascoltammo un annuncio dell’Associazione Progetto Famiglia in cui si cercavano famiglie disponibili all’accoglienza di bambini e ragazzi. Demmo subito la nostra disponibilità.

Il passo fu rapido: dopo alcuni incontri di preparazione, uno degli Assistenti Sociali del nostro paese ci contattò per sapere se eravamo disponibili ad accogliere un bambino in affido a tempo pieno. Proponemmo la cosa anche ai nostri due figli maschi, Roberto e Antonio, che allora avevano rispettivamente 15 e 17 anni. In principio, si dimostrarono contrari: «Fate tutto il bene che volete, ma in casa lasciateci in pace!», fu la loro prima risposta. Bastarono due fine settimana di prova con il bimbo a casa nostra, che anche i loro cuori si aprirono! Non ci fu bisogno di aspettare il terzo fine settimana perché Andrea ormai era già con noi. Aveva 10 anni circa e doveva frequentare la 5° elementare. Per noi fu un ricominciare un po’ tutto, perché i nostri figli ormai erano più grandi e indipendenti.

«Ho sempre sentito il desiderio di fare qualcosa di concreto per il bene del prossimo»

 

Viaggi amletici, il ritorno alle origini

Andrea veniva da una storia triste: la mamma giovanissima e lontana, completamente assente; il padre con una nuova compagna, dalla quale aveva avuto un altro figlio; una nonna ancora giovane, ma con altri figli problematici. Ci trovammo così questo bambino che avrebbe potuto essere egoisticamente tutto nostro. Ma noi, consapevoli dell’importanza della famiglia d’origine, abbiamo sempre rispettato la sua provenienza e ci siamo impegnati, Giacomo ed io, a farlo incontrare periodicamente sia con il padre che con la nonna. Molti i viaggi in automobile, perché la famiglia è in un paese distante dal nostro una cinquantina di chilometri. Spesso per lui, ad ognuno di questi viaggi, iniziati con gioia, si rinnovava alla fine l’antica sofferenza: «Perché mio padre non mi vuole tenere con sé?».

Il ragazzo è cresciuto con noi, per otto anni, come un figlio. Certo, non è stato facile. Un carattere molto chiuso, all’inizio non sapevo mai se l’amore che gli davamo era ricambiato almeno un po’. Anzi, spesso ci combinava qualche “cattivo servizio”. Noi lo perdonavamo sempre, ma ci faceva soffrire molto quella sua tendenza alla slealtà. A volte arrivavamo a chiederci: «Ma chi ce lo fa fare?». Eppure Andrea di noi si fidava e ora capisco che questo è ciò che conta.

L'unione di "due mondi"

Fu ancora più difficile quando Andrea divenne adolescente, giunse al punto di prendersi le cose in casa senza nemmeno chiederle. Di fronte ai nostri rimproveri si chiudeva sempre più. Raggiunta la maggiore età, Andrea, forse perché ormai certo del nostro continuo perdono, ne ha combinate ancora di più grosse. Così, è accaduto quello che avevamo sempre temuto: Antonio, nostro figlio maggiore, ha preso in mano la situazione ed ha detto basta - «Andrea è ora che ti prenda le tue responsabilità: se non vuoi rispettare le regole della famiglia, allora, renditi indipendente!».

Andrea se ne andò a lavorare lontano, durante le vacanze scolastiche. Sembrava che tutto fosse crollato, avevamo perso. Ma a volte, pur perdendo molte battaglie, si vince lo stesso la guerra. È capitato a noi. E a lui. Il suo era stato un atteggiamento di sfida, forse voleva dimostrare qualche cosa che noi non capivamo. Voleva sapere chi era veramente: il figlio di questa nostra rispettabile famiglia o il figlio della sua, ben più sfortunata? Così ora, a 19 anni, non vive più con noi. L’irrevocabilità della nostra decisione lo ha reso improvvisamente maturo.

Adesso studia e lavora. Provvisoriamente è ospite della nonna, ma appena possibile se ne andrà a vivere da solo. Dentro si porta tutto il nostro mondo, più la sofferenza del suo. È quasi un uomo ormai. Spesso viene a trovarci e ci ha fatto capire che ci vuole bene, si confida con noi ed è più affettuoso.

 

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