Guida Affidamento Familiare

101 risposte sull'affidamento familiare
Cos’è l'affidamento familiare?

1. Cos’è l’affidamento familiare? 
L’affidamento familiare è una delle modalità di sostegno a bambini, ragazzi e famiglie in difficoltà previste dall’ordinamento giuridico italiano. In particolare è disciplinato dalla Legge n°184 del 1983 e dalle Linee di Indirizzo nazionali sull’Affidamento familiare, approvate nel 2012. Completano il quadro i Regolamenti regionali e locali in materia.

2. Quando viene realizzato un affidamento familiare?
L’affidamento familiare viene realizzato quando le difficoltà dei genitori rendono temporaneamente inidoneo il contesto familiare nel rispondere adeguatamente alle principali esigenze di crescita dei figli (cura, educazione, istruzione, relazioni affettive).

3. Concretamente, in cosa consiste l’affidamento?
L’affidamento familiare consiste in un intervento temporaneo che procede su due fronti: verso i genitori, ci si attiva con azioni di sostegno affinché risolvano le loro problematiche e recuperino a pieno la possibilità di seguire la crescita dei propri figli; verso i figli, ci si attiva nel trasferirli temporaneamente presso un’altra famiglia (individuata, a seconda dei casi, all’interno o all’esterno della rete parentale) in grado di accompagnarli durante l’intervento di “supporto e recupero” dei genitori.

4. Chi decide la realizzazione di un affidamento?
La decisione di realizzare un affidamento familiare può essere assunta dai Servizi Sociali territoriali o, nelle situazioni più gravi, dal Tribunale per i Minorenni. La legge permette anche aigenitori di affidare “privatamente” i propri figli ad altre persone. In questo caso, se gli affidatari non appartengono alla rete parentale del minorenne, l’affidamento privato non può durare per oltre sei mesi (Cf. risposta 75. Cos’èl’Affidamento Privato?)

5. In quali casi l’affidamento è deciso dal Servizio Sociale?
Il Servizio Sociale territoriale di residenza del minorenne decide l’affidamento (cosiddetto “affidamento amministrativo”), senza ricorrere al Tribunale per i Minorenni, quando si verificano contemporaneamente i seguenti tre elementi: 1) i genitori in difficoltà sono d’accordo con la realizzazione dell’affidamento familiare (per questo si parla in tali casi di “affidamento consensuale”); 2) la situazione familiare, anche se difficoltosa, non è così grave da causare pregiudizi importanti sul minorenne; 3) la presunta durata dell’affidamento non supera 24 mesi. In tali casi il Servizio Sociale territoriale può procedere con il provvedimento di affidamento familiare, dandone notizia al Giudice Tutelare territorialmente competente, per l’ottenimento del visto di esecutività.

6. In quali casi  l’affidamento è deciso del Tribunale?
Il Tribunale per i Minorenni interviene (con il cosiddetto “affidamento giudiziale” o “giurisdizionale) quando si verifica almeno uno dei seguenti casi: 1) i genitori in difficoltà non sono d’accordo con la realizzazione dell’affidamento familiare (per questo si parla in tali casi di “affidamento coatto”); 2) la situazione familiare, si presenta grave e causa (o potrebbe probabilmente causare) pregiudizi importanti sul minorenne; 3) la durata dell’affidamento supera 24 mesi.

7. Quando il Tribunale interviene ad affidamento già avviato?
Il Tribunale a volte interviene in un secondo momento, a fronte di un affidamento familiare avviato dai Servizi Sociali territoriali. Questo avviene nei casi in cui i genitori, inizialmente consenzienti dovessero cambiare idea. Oppure nei casi nei quali, durante l’affidamento familiare, la condotta dei genitori peggiora e diviene pregiudizievole per il minorenne. Oppure nei casi in cui la durata supera il tetto dei 24 mesi. In questi casi il Servizio Sociale locale informa la Procura minorile della Repubblica e questa, accertata la sussistenza di una delles uddette circostanze, interessa il Tribunale per i Minorenni.

Cosa significa che l'affido è un  «intervento integrativo»?

8. Qual è la principale differenza tra affidamento familiare e adozione?
L’affidamento familiare e l’adozione dei minorenni sono disciplinati dalla stessa legge, la n° 184 del 1983. Anche se entrambi consistono nell’accogliere un bambino o un ragazzo nella propria famiglia, sono due percorsi radicalmente differenti, sia negli obiettivi che nelle modalità di realizzazione. Non considerare queste differenze (ad esempio, avviando un affidamento avendo obiettivi e atteggiamenti adottivi) può creare gravissime criticità, innanzitutto per il minorenne, oltre che per gli stessi affidatari, la famiglia di origine e gli operatori coinvolti. La differenza principale tra adozione e affidamento familiare è che quest’ultimo è un intervento integrativo della famiglia di origine. Punta cioè a dare al minorenne “una famiglia in più” che non si sostituisce a quella di origine. L’adozione, invece, è un intervento sostitutivo, cioè consiste nel dare al bambino o al ragazzo “una nuova famiglia”, in una situazione nella quale la famiglia di origine esce di scena.

9. Il ruolo chiesto agli affidatari è come «fare gli zii»?
Sì. Il ruolo chiesto agli affidatari di un bambino o di un ragazzo è paragonabile a quello di uno zio che ospita per un certo tempo un nipote. Sarà suo impegno assicurargli tutte le cure necessarie (accudimento, educazione, relazioni affettive…) integrando, senza sostituire, il ruolo dei genitori del bambino. Anzi, sarà suo compito e desiderio favorire il rapporto tra il bambino e i suoi genitori e farà il possibile per contribuire al rientro del bambino a casa.

10. Gli affidatari possono farsi chiamare «mamma» e «papà»?
Il ruolo “integrativo” e “non sostitutivo” a cui gli affidatari sono chiamati non si concilia, salvo particolarissime eccezioni, con il farsi chiamare “mamma” o “papà” dal bambino o ragazzo accolto. Sarà di gran lunga preferibile utilizzare le parole “zio/zia” o, semplicemente, farsi chiamare per nome.

11. Perché per un bambino l’esperienza dell’affidamento può essere di importanza decisiva? 
Quando un bambino o un ragazzo sperimenta nella sua famiglia carenze importanti, si creano nel suo animo grandi ferite e fragilità, che possono tradursi in importanti difficoltà con sé stesso, con gli altri, con la vita. Questo mette in crisi sia il suo presente, vissuto a volte con acuta sofferenza, che il suo futuro. Può venirne minata la sua capacità di diventare autonomo e di vivere relazioni sane. Si possono sviluppare, nel futuro, grandi difficoltà nel “metter su famiglia” e nel divenire adulti responsabili, affidabili e sufficientemente sereni. La presenza nella sua vita di “una famiglia in più”, capace di offrire risposte adeguate ai suoi bisogni, sia concreti che psicologici ed emotivi, può permettere una graduale ristrutturazione positiva della sua interiorità, consentendogli una seconda chance per crescere sano.

12. Perché si dice che l’affidamento è «un dono per sempre»? 
La «ristrutturazione positiva dell’interiorità dei bambini», che – come abbiamo visto nella risposta precedente – viene favorita dall’affidamento familiare, è un processo di rigenerazione interna che ha effetti duraturi nel tempo. Quando un bambino o un ragazzo sperimenta i benefici di un legame caldo e nutritivo, questa positività non viene meno nel momento in cui la relazione di convivenza con gli affidatari si conclude. Quel bambino diventerà un uomo migliore anche grazie al contributo positivo indelebile donatogli dagli affidatari.

13. Quando l’affidamento familiare si conclude, finiscono i rapporti?
Un convegno di alcuni anni fa sull’affidamento familiare aveva questo titolo: «l’Affido Non Separa». Uno degli aspetti che questo slogan intendeva sottolineare è che, quando si conclude un affidamento familiare, se il percorso è ben pensato e attuato, la relazione tra il minorenne e gli affidatari non si interrompe. Piuttosto si modifica, ma resta viva e vivace. È così che, dopo un periodo di accoglienza a tempo pieno, segue tra gli affidatari e il minorenne una relazione fatta di contatti, telefonate, visite, incontri. Non di rado avviene che, crescendo, i ragazzi che sono stati in affidamento familiare ritornino, per periodi più o meno lunghi, dagli affidatari. Come abbiamo già evidenziato, il tutto si svolge come avverrebbe con un nipotino che, dopo essere stato un certo tempo presso a casa degli zii (a causa di alcune difficoltà dei suoi genitori), nel rientrare a casa continuerà, anche se in modo diverso, a relazionarsi con gli zii, incontrandoli al compleanno, nelle festività natalizie, etc. A rinforzo di questo “prosieguo di rapporti”, nel 2015 la legge sull’affidamento familiare è stata aggiornata con l’inserimento esplicito del principio della continuità degli affetti, il quale prevede che, per il bene del minorenne, non vengano meno le relazioni significative sorte durante l’affidamento. È compito dei Servizi Sociali territoriali progettare e accompagnare questa fase. La continuità degli affetti viene garantita non per attenuare la “nostalgia” degli affidatari ma come “diritto del minorenne” ad una vita relazionale non segnata da continui tagli. Ovviamente, nei casi in cui tale prosieguo di relazioni non rispondesse agli interessi del minorenne (ad esempio nel caso di conflittualità o invischiamento sorti tra lui e gli affidatari) i contatti non continueranno. 

14. Alla conclusione dell’affidamento, il minorenne dove va? 
Quando un affido si conclude la destinazione più frequente dei minorenni è il rientro in famiglia (che avviene in circa 1/3 dei casi). Altre destinazioni frequenti sono il passaggio in un servizio residenziale (circa il 15% dei casi), in adozione (circa il 13% dei casi), in un’altra famiglia affidataria (in circa il 10% dei casi) o alla vita autonoma (in circa il 5% dei casi).

15. Se il bambino va in adozione presso un’altra famiglia, posso continuare a vederlo? 
Quando il minorenne viene adottato da un’altra famiglia, diviene loro figlio e quindi – a tutti gli effetti – spetta ai suoi genitori, nell’interesse del figlio, decidere se e come dare prosieguo alla relazione con gli affidatari che lo hanno accolto in precedenza. Le situazioni vanno valutate caso per caso. In generale, e salvo casi particolari, si suggerisce l’individuazione di una modalità che non recida nettamente e improvvisamente i rapporti. Ove possibile, un prosieguo di relazioni, anche leggero ma duraturo nel tempo, è sicuramente la modalità preferibile. 

Quanto impegno è chiesto agli affidatari?

16. Perché le persone scelgono di fare affido?
Tra i motivi che più frequentemente spingono le persone alla scelta dell’affidamento familiare, i principali ruotano intorno al desiderio di “aiutare bambini e ragazzi a crescere”, “donando loro un legame” e “contribuendo a rendere migliore la società” in cui viviamo e ad “arricchire di senso la propria vita”. Quando gli affidatari hanno dei figli, l’esperienza di accoglienza viene scelta anche per la sua capacità di contribuire positivamente alla crescita dei figli e dell’intera famiglia. Numerose ricerche sulla “motivazione degli affidatari” hanno evidenziato che, pur essendo sempre compresenti nelle persone varie tipologie di motivazione, gli affidamenti hanno maggiori margini di successo quando le motivazioni delle famiglie sono prevalentemente centrate sul bene che si fa ai bambini e alla società. Più deboli, invece, sono le esperienze nelle quali il motivo principale che spinge gli affidatari riguarda il perseguimento del benessere proprio o dei propri figli. 

17. Fare gli affidatari quanto tempo impegna?
Chi accoglie un minorenne a casa propria è coinvolto, come per un figlio, nell’averne cura. Questo, sul piano concreto, può impiegare più o meno tempo nell’arco della giornata e del mese, a seconda dei concreti bisogni del minorenne (diversissima, ad esempio, è l’entità – in termini di tempo – delle cure da dedicare ad un neonato, rispetto alle energie per accompagnare altre forme di accoglienza). La stima dell’intensità di impegno può essere fatta dagli affidatari prima dell’inizio di un affidamento familiare, basandosi soprattutto sul profilo dei bisogni e delle risorse del minorenne e sui dettagli del progetto di affido da realizzare.

18. Posso fare l’affidatario durante le feste o in un viaggio? 
Pur non escludendo che, in alcune particolari circostanze, sia possibile anche un’accoglienza di breve durata (come può essere quella per le festività natalizie o per la realizzazione di un viaggio), in generale il rapporto tra affidatari e minorenni ha bisogno di tempi più lunghi ed è finalizzato alla attivazione di un legame da far durare nel tempo, anche quando il minorenne ritornerà nel suo contesto.

19. Posso fare l’affidatario solo per alcuni giorni della settimana? 
In alcuni casi, è possibile svolgere il proprio ruolo di affidatari solto per alcuni giorni alla settimana (i giorni feriali, il week-end, etc.). Sono le accoglienze di quei minori che nei restanti giorni hanno la possibilità di stare nella propria famiglia di origine. Ad esempio, nel caso di una madre single con due figli piccoli, impiegata in un ristorante intensamente attivo nel fine settimana, potrebbe attivarsi un affidamento che va dal sabato mattina alla domenica sera. Diversamente, per un genitore impegnato intensamente durante i giorni feriali, i figli potrebbero stare presso gli affidatari dal lunedì al venerdì e trascorrere il sabato e la domenica a casa.

20. Se lavoro tutto il giorno, posso fare l’affidatario? 
In alcuni casi, specie di adolescenti prossimi alla maggiore età, o di bambini che possono trascorrere le ore diurne con i propri familiari, può essere realizzato un affidamento “serale-notturno”, compatibile con la ridotta disponibilità di coloro che – soprattutto per motivi di lavoro – fossero disponibili solo dopo una certa ora. 

21. Posso dare la disponibilità solo per alcuni “tipi” di minorenni (età, sesso, situazione…)? 
Nessuno è chiamato a dare una disponibilità totale e a 360°. Anzi, se una coppia si rendesse disponibile “per tutte le situazioni” potrebbe peccare di imprudenza. È dunque giusto riflettere su quali siano le caratteristiche del minorenne per le quali riteniamo di essere più in grado di dare risposte adeguate ai suoi bisogni. Come pure è importante mettere a fuoco quali sono le complessità che siamo o meno pronti a reggere, pensando sia a noi che ai nostri figli. Ad esempio, se sono genitore di due figlie preadolescenti, potrebbe essere imprudente accogliere in affidamento un ragazzo diciassettenne “in carriera”. Parimenti, se ho tre figli di varie età, può essere opportuno stare attenti a non “far perdere” il posto al più piccolo o al più grande. Ovviamente, è importante che si tratti di motivazione valide, di buon senso, non legate ad aspetti secondari come il colore degli occhi o dei capelli.

22. Devo farmi carico dei costi di cura del minorenne accolto? 
La legge stabilisce che le persone disponibili all’affidamento familiare devono essere messe nella condizione di poterlo fare indipendentemente dalle proprie condizioni economiche. Questa indicazione, nella pratica concreta, si è tradotta nella previsione di un contributo spese finalizzato alla copertura dei costi connessi alla cura del minorenne accolto (Cf. risposte n° 88, 89, 90 e 91). Dunque, l’idea di fondo è che tali costi non siano a carico degli affidatari, bensì del Comune di provenienza del bambino. 

Chi può diventare affidatario?

23. Chi può essere affidatario?
La legge dice che un bambino può essere affidato ad una coppia, preferibilmente con figli, o a una persona singola, in grado di assicurare accoglienza, cure, educazione, istruzione e relazioni affettive.

24. Una coppia senza figli può fare affidamento? 
Sì, la legge non esclude le coppie senza figli. Ovviamente occorre che la motivazione che spinge la coppia non sia di tipo adottivo e che il concreto comportamento posto in essere sia coerente con le finalità e le modalità dell’affido (ad esempio non facendosi chiamare “mamma” o “papà”, favorendo i rapporti tra i minorenni e la loro famiglia di origine, etc.).

25. Perché la legge dice che la coppia deve essere “preferibilmente” con figli? 
La legge, nell’indicare chi può fare affido, dice che la coppia deve essere “preferibilmente” con figli. Questo, come detto sopra, non esclude che una coppia senza figlia possa fare affidamento. Anzi, in alcuni casi è preferibile che gli affidatari non abbiano figli (ad esempio l’accoglienza di un minorenne con esigenze e comportamenti complessi, potrebbe richiedere tutte le attenzioni e le energie degli adulti affidatari e quindi rendere più adatto l’affidamento presso una coppia senza figli). Il “preferibilmente” va interpretato come invito a considerare che nell’affidamento anche i figli degli affidatari partecipano attivamente alla buona riuscita dell’accoglienza e che, quindi, salvo esigenze particolari, ad un bambino o ragazzo che va in affido “fa bene” avere accanto a sé non solo la coppia affidataria ma anche i loro figli (che fanno un po’ da “cugini”, da “fratelli affidatari”). La parola “preferibilmente” può, al contempo, indicare che una coppia senza figli che avesse l’obiettivo di accogliere dei bambini “come figli propri”, è bene che segua la strada dell’adozione e non quella dell’affidamento familiare.  

26. Gli affidatari devono essere sposati? 
La legge non richiede che gli affidatari siano sposati. Ovviamente, viene valutata la stabilità della relazione di coppia al fine di offrire al minorenne un contesto di vita adeguato.

27. Una persona che vive da sola può fare affido? 
Sì, la legge dice chiaramente che l’affidamento può essere svolto anche da una persona singola. Ovviamente, gli affidatari singoli saranno abbinati a quelle situazioni di minorenni che meglio possono ricevere da loro le risposte di cui abbisognano (ad esempio, una donna singola potrebbe essere ben abbinabile ad una ragazza adolescente che ha sperimentato in famiglia grandi difficoltà nel rapporto con la figura adulta maschile).

28. Per fare affidamento, i due membri della coppia devono essere d’accordo? 
Certamente! L’affidamento familiare non è praticabile se uno dei due adulti non è d’accordo. Anche perché, salvo particolarissime eccezioni, divengono entrambi affidatari del minorenne. Cioè, ordinariamente, non è possibile né opportuno che affidatario del minorenne divenga solo uno dei due. Questo affinché il minorenne affidato si trovi in un contesto familiare coeso e armonicamente concorde nell’accoglierlo e accompagnarlo

29. Se uno dei due membri della coppia lavora lontano, possono diventare affidatari? 
La lontananza, anche prolungata, di uno dei due membri della coppia, ad esempio per motivi di lavoro, non rappresenta di per sé un impedimento all’affidamento, purché siano entrambi concordi e se l’adulto presente in casa è nella effettiva condizione di assicurare al minorenne una accoglienza adeguata.

30. Deve esserci una certa differenza d’età (minima e massima) tra gli affidatari e l’affidato? 
La legge non fissa particolari limiti, minimi o massimi, alla differenza di età tra adulti affidatari e minorenne affidato. Quindi è possibile essere affidatari anche da giovanissimi o da anziani. Quel che conta è la concreta e adeguata capacità di assicurare al minorenne le condizioni necessarie per una crescita serena e positiva.

31. Per diventare affidatari occorre possedere un certo reddito? 
La consistenza economico-patrimoniale degli affidatari non rientra tra i criteri di selezione di chi fa domanda. Anzi, la temporaneità dell’esperienza fa preferire il coinvolgimento di famiglie con redditi non eccessivamente più alti di quelli della famiglia di origine, in modo da prevenire possibili forme di disorientamento del minorenne. Ovviamente, il possesso di una sufficiente stabilità economica contribuisce allo svolgimento sereno del ruolo a cui gli affidatari sono chiamati, quindi è da considerare che un nucleo familiare con gravissime difficoltà economiche si troverebbe facilmente in una condizione di non immediata compatibilità con l’affido.

32. Per fare affidamento bisogna avere una casa grande? 
Poiché l’affidamento familiare di un bambino consiste nel suo trasferimento presso l’abitazione degli affidatari, occorre che vi siano gli spazi per dargli “un posto per lui”. Nella gran parte dei casi, non occorre destinare al minorenne in affido un’intera camera da letto. Anzi, in genere, stare in camera con uno dei figli degli affidatari – specie se della stessa età o un po’ più grande – può essere una grande opportunità per l’affidato, che potrebbe così beneficiare di costanti spazi di condivisione e di dialogo. Un “posto per lui” significa il “suo” letto, il “suo” cassetto, la “sua” parte di armadio… Cioè spazi che gli vengono riservati, nei quali può tenere le “sue” cose. Quando una famiglia, pur disponibile all’accoglienza di un minorenne, non ha spazi da potergli dedicare, potrà orientarsi verso forme non residenziali di impegno, come l’affidamento familiare diurno (Cf. risposta 74) e l’affiancamento part-time di adolescenti ospiti delle comunità residenziali (Cf. risposta 77).

Come accompagnare i propri figli nell'esperienza dell'affido?

33. I figli devono essere d’accordo con l’affidamento? 
La corale disponibilità di tutti i membri della famiglia all’affidamento contribuisce fortemente al buon esito dell’accoglienza. Ciò non toglie che, in alcune fasi, possa accadere che un figlio possa non condividere l’avvio o il prosieguo di un affidamento. In questi casi, sia i genitori che i Servizi Sociali devono prestare grande attenzione e ascolto, per comprendere i bisogni del figlio e per accompagnarlo a maturare una maggiore disponibilità o a superare le eventuali difficoltà. In alcuni casi, è possibile che i figli “non siano pronti” a vivere l’esperienza dell’affidamento e sarà giusto rinviare al futuro un tale impegno, concentrando le energie familiari sui figli stessi e su altre forme di solidarietà “meno complesse”.

34. Come posso “preparare” i miei figli ad aprirsi all’affidamento? 
Spesso, quando bambini e ragazzi si manifestano contrari all’affidamento, lo fanno perché temono, comprensibilmente, di essere “invasi” da presenze estranee e ostili. Una buona modalità per accompagnarli nella maturazione di una maggiore apertura solidale è quella di coinvolgerli in piccole esperienze di volontariato diurno con bambini e ragazzi bisognosi. Esperienze che possono iniziare presso un luogo esterno (ad esempio nella sede di un’associazione) e proseguire con piccole attività di accoglienza diurna realizzare in casa, ad esempio per un paio di ore una volta alla settimana. Il tutto, sarà bene condirlo con un dialogo costante, tra genitori e figli, con i figli di altre coppie affidatarie, con eventuali operatori esperti.

35. Devo fare differenze tra i miei figli e i minorenni accolti? 
Se per “differenze” intendiamo “favoritismi” occorre, ovviamente, che tanto i figli quanto i minorenni accolti ricevano tutto il necessario per crescere e vivere sereni e che vanno quindi evitati “trattamenti di migliore qualità” e “trattamenti di riserva”. Al contempo, occorre considerare che i figli hanno il “bisogno vitale” di sentirsi tali e di respirare l’attenzione costante dei genitori. Hanno, inoltre, la necessità di sapere che il “loro posto” nella famiglia non è a rischio e i genitori devono stare attenti a non creare meccanismi di “competizione” tra figli e minorenni accolti. In alcuni casi, può essere utile evidenziare questi aspetti prevedendo attività nelle quali i genitori trascorrono del tempo “solo” con i propri figli, casomai mentre i minorenni accolti si trovano a fare attività esterne. Questo aspetto è importante e complesso e non esiste una ricetta unica. Quel che occorre assicurare è il mantenimento di una grande attenzione e, ove opportuno, il farsi accompagnare dagli esperti (ad esempio dallo psicologo del Servizio Affidi o dell’Associazione di Affidatari a cui ci si riferisce).

36. L’affidamento fa bene ai miei figli? 
Se ben preparato e adeguatamente accompagnato, un affidamento familiare rappresenta una grande esperienza di crescita e arricchimento per i figli degli affidatari. Sperimentare in prima persona l’impegno solidale e la condivisione verso un proprio coetaneo che vive situazioni di difficoltà può aprirli ad una maggiore consapevolezza del valore della famiglia, della responsabilità, della prossimità. L’assunzione di piccoli impegni di accudimento o di vicinanza può contribuire alla loro maturazione psicoemotiva. Condividere con i genitori l’esperienza dell’accoglienza può, inoltre, cementare le relazioni familiari intorno a un impegno comune. Anche la conclusione dell’affidamento e il distacco dai minorenni accolti possono divenire occasione di crescita, imparando a vivere i legami in modo aperto, non possessivo, orientato al futuro. Tutto questo richiede un costante spazio di ascolto, da parte dei genitori, di quelli che sono i vissuti emotivi dei figli. Fermarsi periodicamente per “mettere in parola” i sentimenti positivi e negativi, le fatiche, i desideri… aiuta a rielaborarli insieme, riempiendoli di significati e prevenendo possibili chiusure e incomprensioni.

Qual è la durata dell'affidamento?

37. Come si stabilisce la durata di un affidamento? 
Un affidamento familiare ha una durata variabile, in base alla complessità e ai tempi di recupero dei problemi dei genitori in difficoltà. Tale durata, ordinariamente, è fissata già all’inizio dell’affido e tiene in conto la tipologia degli interventi da realizzare e la gravità delle criticità da fronteggiare.

38. Qual è la durata massima dell’affidamento? 
La legge stabilisce che, ordinariamente, un affidamento non possa durare più di 24 mesi. Se la situazione richiede una durata maggiore, la decisione può essere assunta soltanto dal Tribunale per i Minorenni.

39. Quanto durano in media gli affidamenti?
In genere, l’affidamento familiare ha una durata compresa tra qualche mese (anche se non mancano affidamenti familiari più brevi) e alcuni anni. Spesso, soprattutto per gli affidamenti che iniziano durante la preadolescenza (11-14 anni), la durata si prolunga anche oltre i 4 anni.

40. L’affidamento può durare fino alla maggiore età? 
A volte, nell’affidamento di ragazzi già grandi, l’accoglienza può durare fino al compimento dei 18 anni. L’accompagnamento fino a 18 anni non può avvenire, salvo particolarissime eccezioni, nel caso dell’affidamento di bambini piccoli, perché non sarebbe rispettato il principio della temporaneità.

41. Cosa succede a 18 anni? 
Raggiunti i 18 anni, il ragazzo è libero di scegliere autonomamente dove stare. Può accadere che decida di rientrare nella famiglia di origine. Può decidere di andare a vivere da solo, anche se un neomaggiorenne avrebbe grandi difficoltà in tal senso. Potrebbe, infine, preferire la permanenza presso gli affidatari, se questi sono disponibili. In tal caso, essendo divenuto maggiorenne, vengono meno i vincoli e gli obblighi vigenti quand’era minorenne. Si tratta dunque di una libera ospitalità. In alcuni casi, se la permanenza è concordata previamente con il Tribunale per i Minorenni, questo può disporre il cosiddetto “prosieguo amministrativo”, consistente in un prolungamento del sostegno economico erogato dai Servizi Sociali territoriali agli affidatari, fino al compimento del 21esimo anno di età.

42. Cosa accade quando il ragazzo compie 21 anni?
Da alcuni anni in Italia si sta sperimentando un Fondo Straordinario per accompagnare, fino al 25esimo anno di età, i ragazzi che ne avessero bisogno, attraverso progetti di sostegno al completamento del proprio percorso di formazione, all’autonomia abitativa, all’inserimento occupazionale. Attualmente solo alcuni ragazzi beneficiano di questi supporti. Negli anni è nata in Italia una rete tra neomaggiorenni (Care Leavers Network) e  una associazione nazionale (Ass. Agevolando) che offrono spazi di confronto, percorsi di sostegno, progetti, etc. 

43. Un affidamento può essere interrotto, se i genitori superano prima le loro difficoltà? 
Quando viene avviato un affidamento è prevista, salvo particolarissime eccezioni, la data di scadenza, cioè il termine entro il quale si prevede che i problemi dei genitori dei minorenni siano superati e questi possano fare rientro a casa. Se i genitori risolvono le proprie difficoltà prima della scadenza dell’affidamento, il Servizio Sociali o il Tribunale per i Minorenni che ha disposto l’affidamento può deciderne la conclusione anticipata.

44. Cosa succede se, giunti alla scadenza, i genitori non sono ancora pronti? 
Come accennato sopra, la legge stabilisce che i minorenni rientrano nella propria famiglia quando si sono ripristinate le condizioni di idoneità del contesto. Se, alla scadenza dell’affidamento familiare, tali condizioni non sono ancora pienamente raggiunte, l’affidamento viene prorogato.

45. Chi può decidere la proroga dell’affidamento? 
Se la proroga non porta al superamento dei 24 mesi, può essere decisa dal Servizio Sociale territoriale (ad esempio nel caso di un affidamento inizialmente programmato per un anno e prorogato per un ulteriore anno). Per proroghe che superano i 24 mesi totali (conteggiati dall’inizio dell’affidamento), la decisione può essere assunta soltanto dal Tribunale per i Minorenni. Le proroghe vengono decise dal Tribunale anche per periodi più brevi nei casi di affidamenti familiari che, per la gravità della situazione, hanno visto il coinvolgimento del Tribunale stesso fin dall’inizio.

46. In caso di proroghe, gli affidatari sono obbligati a proseguire l’accoglienza? 
In caso di proroga, l’ideale, nell’interesse del minorenne, è restare presso il medesimo nucleo affidatario, senza passare di famiglia in famiglia, salvo le situazioni nelle quali sono sorte delle criticità nell’affido. Di fronte ad una proroga, gli affidatari non “sono obbligati a proseguire” e quindi viene loro chiesto di esprimere nuovamente la propria disponibilità. Comprensibilmente, ci si augura che tale disponibilità ci sia e i Servizi Sociali territoriali sono impegnati a sostenere gli affidatari in questa scelta.

47. Se l’affidamento va in crisi, può essere interrotto prima? 
Durante lo svolgersi di un affidamento familiare possono sorgere delle criticità (ad esempio delle gravi conflittualità tra i minorenni accolti e i figli della coppia, dei comportamenti molto problematici in casa, un conflitto intenso del minorenne con uno o entrambi gli adulti affidatari, una conflittualità non gestibile tra gli affidatari e la famiglia di origine, etc.). Si tratta di situazioni non frequenti, se gli affidamenti vengono progettati e accompagnati con attenzione. Quando si verificano l’affidamento può essere interrotto prima della scadenza. Il minorenne in tali circostanze viene inserito, a seconda dei casi e delle possibilità, presso altri affidatari o in una comunità residenziale per minori. In alcuni casi può essere accelerato il rientro nella famiglia di provenienza.

48. Se sorgono difficoltà degli affidatari, non legate all’affido, l’accoglienza può essere interrotta? 
Un’ulteriore circostanza nella quale un affidamento può essere interrotto prima della scadenza è quando sorgono delle difficoltà degli affidatari (ad esempio nel caso di un lutto o di una malattia che modifica gli assetti familiari, nel caso sorga la necessità di trasferirsi altrove per lavoro, etc.). In tali casi, pur non essendo “in crisi” l’affidamento familiare, può esserne ugualmente disposta la conclusione anticipata.

49. Cosa sono gli affidamenti «sine-die»? 
Un discorso particolare, circa la durata degli affidamenti, va fatto in merito ai cosiddetti “affidamenti sine-die”. Letteralmente il termine latino “sine-die” significa “senza scadenza”. Si tratta cioè di affidamenti “a tempo indeterminato”. È una tipologia di affidamento controversa, rispetto alla quale emergono varie perplessità da parte di operatori ed esperti. Ad ogni modo, si tratta di una opzione attuabile solo dal Tribunale per i Minorenni, il quale ha la possibilità di disporre un affidamento familiare senza indicarne la scadenza. Questa modalità, vietata ai  Servizi Sociali territoriali, viene adottata da alcuni giudici minorili per dar risposta a situazioni per le quali si prevede che non possano subentrare particolari cambiamenti della situazione, nonostante il trascorrere del tempo (si pensi, ad esempio, ad un ragazzo orfano di padre e la cui madre, inseguito ad un incidente, resti paralizzata permanentemente. Il ragazzo, avendo la madre vivente e non sospesa  o decaduta dalla responsabilità genitoriale, non diviene adottabile. In questi casi, un possibile intervento è quello di inserirlo in affidamento familiare sine-die presso una famiglia, non prevedendosi che possano esservi miglioramenti della condizione della madre con il passare degli anni). Chi si dichiara perplesso per gli affidamenti sine-die, propone di sostituirli con gli affidamenti “di lunga durata”, nei quali un termine, anche se lontano, viene fissato. Questo permette una maggiore attenzione al monitoraggio della situazione, una maggiore certezza che vengano realizzare verifiche periodiche, una più chiara e aggiornata cornice progettuale. Si teme, in sintesi, che un affido a tempo indefinito possa portare ad una sorta di “chiusura di fatto” del fascicolo del minorenne, al quale – come varie esperienze negative hanno evidenziato – con il passare degli anni si rischia di non dare più la giusta attenzione. 

Chi sono i bambini e i ragazzi in affidamento?

50. Quanti sono i minorenni in affidamento familiare in Italia? 
Negli ultimi anni in Italia il numero dei minorenni in affidamento familiare si è mantenuto pressoché stabile, con un numero totale che si aggira intorno ai 13/14mila bambini e ragazzi, dei quali circa la metà è accolta presso i propri parenti (cosiddetto “affidamento intrafamiliare” o “affidamento a parenti”) e l’altra metà è inserita presso famiglie esterne al IV grado di parentela (cosiddetto “affidamento extra-familiare” o “affidamento etero-familiare”).

51. In Italia, ci sono altri bambini e ragazzi che non vivono nella loro famiglia? 
Oltre ai bambini e ai ragazzi in affidamento familiare, in Italia vi sono circa altri 12/13 mila bambini e ragazzi ospiti dei cosiddetti “servizi residenziali per minorenni”. Questi servizi, disciplinati in modo diverso nelle varie Regioni, sono divisibili in due macro-tipologie: le cosiddette “comunità educative”, animate da un gruppo di operatori educativi turnanti; le “case famiglia” o “comunità familiari”, caratterizzate dalla presenza stabile di una famiglia o di un operatore che vive nel servizio residenziale, “facendo famiglia” con i minorenni, supportato da alcuni operatori educativi esterni.

52. Cosa significa che l’inserimento dei minorenni in affidamento è prioritario rispetto ai servizi residenziali? 
La legge italiana stabilisce che un minorenne che temporaneamente non può stare con i propri genitori deve essere inserito in affidamento familiare e che solo se questo non è possibile può essere accolto in un servizio residenziale. Questa indicazione sancisce quindi una tendenziale priorità dell’affido rispetto alle comunità educative e alle case famiglia. Si tratta di una priorità “tendenziale” nel senso che occorre di volta in volta valutare qual è la risposta più adeguata a un preciso minore in un dato momento. Questo può portare a rendere “non possibile” un affidamento perché potrebbe essere non adeguato a dare risposta ai bisogni di quel minorenne. Dunque, v’è una preferibilità dell’affidamento, purché questo corrisponda all’effettivo bene del bambino o del ragazzo di cui ci si sta occupando.

53. Cosa significa che l’affidamento familiare deve essere “necessario” e “appropriato”? 
I principi di necessità e di appropriatezza dell’affido sono sanciti dalle Linee Guida ONU in materia. Il principio di “Necessità”, sottolinea che, ordinariamente, un minorenne deve poter crescere con la sua famiglia e che può essere “spostato altrove” solo quando se ne crea l’impellente e insuperabile “necessità”, per il suo bene. Il principio di “Appropriatezza” sottolinea che l’accoglienza fuori famiglia del minorenne deve essere realizzata con tutte le attenzioni necessarie a dare risposte adeguate ai suoi concreti bisogni.

54. In Italia, il numero dei minorenni che non vivono nella loro famiglia è maggiore o minore degli altri Paesi? 
L’Italia è uno dei Paesi d’Europa nei quali il numero dei bambini e ragazzi fuori famiglia è meno numeroso. In percentuale, in Italia sono in affidamento o in un servizio residenziale circa 3 minorenni ogni mille minorenni residenti. In Spagna ve ne sono 4,4 ogni mille. In Inghilterra circa 6 ogni mille. In Francia e Germania oltre 10 ogni mille. 

55. In Italia sono molti i minorenni stranieri in affidamento? 
I bambini e i ragazzi stranieri che si trovano in affidamento familiare sono, in Italia, circa il 20% del totale degli affidamenti, quindi quasi 3mila. A questi vanno aggiunti alcuni affidamenti di “minori stranieri non accompagnati” per i quali una legge del 2017 (cosiddetta legge Zampa) ha stabilito che occorre fare tutto il possibile per poterne ampliare l’accoglienza in affidamento familiare, in alternativa alla permanenza nei centri di accoglienza.

56. Qual è l’età dei minorenni in affidamento familiare? 
Possono andare in affidamento familiare i minorenni di tutte le età, dai primi giorni di vita fino al compimento dei 18 anni. Sul piano concreto, i bambini di età compresa tra 0 e 5 anni sono poco numerosi (meno del 15% del totale). Le altre fasce d’età sono tutte ben presenti: 6-10 anni (oltre il 25%); 11-14 anni (quasi il 30%); 15-17 anni (oltre il 25%).

Chi sono in genitori in difficoltà?

57. Quali sono le problematiche dei genitori di origine dei bambini in affidamento? 
Le problematiche genitoriali che portano alla necessità di un affidamento familiare dei figli sono di varia tipologia. Tra le più frequenti abbiamo la trascuratezza materiale e affettiva dei figli e i problemi sanitari o di dipendenza di uno o di entrambi i genitori. Sono presenti, anche se con minore intensità, i problemi relazionali e di violenza domestica in famiglia.

58. Si cerca di prevenire l’allontanamento temporaneo dei figli dai loro genitori? 
La legge italiana precisa che, salvo situazioni di emergenza, i Servizi Sociali territoriali, prima di realizzare un affidamento familiare, devono obbligatoriamente porre in essere vari interventi a sostegno dei genitori in difficoltà, al fine favorire la soluzione dei problemi, evitando l’allontanamento dei figli da casa. L’affidamento può essere realizzato solo nei casi in cui questi interventi di sostegno non riescono ad assicurare l’idoneità del contesto familiare.

59. Qual è il rapporto tra genitori e figli, durante l’affidamento? 
Durante l’affidamento, i bambini e i ragazzi mantengono relazioni con i propri familiari, salvo situazioni particolarmente complesse nelle quali le difficoltà dei genitori sono talmente gravi da rendere temporaneamente preferibile una sospensione degli incontri. In questi casi, l’affidamento familiare è disposto direttamente dai Tribunali per i Minorenni che, insieme ai Servizi Sociali territoriali, seguono lo svolgimento del percorso e assumono le decisioni necessarie per tutelare il benessere di bambini e ragazzi. 

60. Durante l’affidamento, i genitori vengono aiutati? 
Durante l’affidamento familiare i Servizi Sociali hanno il dovere di lavorare al supporto dei genitori, affinché le difficoltà vengano superate e i figli possano rientrare a casa.

61. Durante l’affidamento familiare, i genitori partecipano alle decisioni relative alla vita del figlio? 
In linea generale è importante che i genitori, anche se il bambino vive temporaneamente altrove, possano esercitare la loro responsabilità nelle decisioni relative alla vita del figlio (in merito, ad esempio, alle scelte relative alle prestazioni mediche facoltative, al percorso religioso, al tipo di scuola, ad eventuali viaggi all’estero, etc.). A tal fine gli affidatari, con l’ausilio dei Servizi Sociali, potranno e dovranno coinvolgerli per tempo nelle varie decisioni. 

62. Ci sono situazioni nelle quali i genitori perdono la possibilità di partecipare alle decisioni sulla vita del figlio? 
Quando le difficoltà della famiglia di origine sono tali da aver portato il Tribunale per i Minorenni a dichiarare la sospensione della responsabilità genitoriale, il loro ruolo decisionale si riduce con vari gradi di intensità (a seconda delle disposizioni del giudice minorile) e può arrivare anche ad azzerarsi. In tali casi, le decisioni vengono assunte dal Giudice stesso, dai Servizi Sociali (se il giudice attribuisce loro questo ruolo) e dal tutore o curatore speciale del minorenne (ove nominato dal Giudice). Gli affidatari dialogano e si confrontano con queste figure per presentare i propri punti di vista e contribuire all’assunzione delle decisioni più adeguate. 

63. Se i genitori non riescono a “recuperare”, cosa succede? 
In alcuni casi, non creandosi le condizioni per il rientro, può avvenire che l’affidamento si prolunghi o che il minorenne venga dichiarato adottabile.

64. Qual è il rapporto tra genitori del bambino e affidatari, durante l’affidamento? 
È importante che gli affidatari mantengano rapporti cordiali con la famiglia di origine e favoriscano la loro relazione con il bambino. È necessario che aiutino il bambino a custodire una visione positiva dei suoi genitori e che non vadano in conflitto (né esplicito, né sotterraneo) con essi. Il bambino ha il bisogno e il diritto di percepire una sufficiente armonia tra gli adulti presenti nella sua vita.

65. Gli affidatari devono farsi carico del sostegno alla famiglia del bambino? 
No. Il sostegno alla famiglia del bambino è un compito che spetta ai Servizi Sociali territoriali e non grava sugli affidatari. Inoltre, è opportuno non cadere nell’attivazione di forme di “aiuto materiale” (ad esempio evitando di dare denaro o beni di prima necessità) o nel “distribuire di consigli” sul come i genitori dovrebbero educare il bambino o sul loro stile di vita. Si potrebbero generare, al di là delle buone intenzioni degli affidatari, dinamiche complesse e sbilanciate che, nel corso del tempo, potrebbero inficiare e complicare la relazione. Positivi possono essere brevi spazi di dialogo cordiale, di racconto reciproco, seguendo le indicazioni dei Servizi Sociali territoriali.

66. Chi decide la frequenza di incontri tra il bambino e i suoi genitori? 
La frequenza dei contatti (telefonate, incontri, …) tra il bambino e i suoi genitori è precisata nel progetto di affido definito dai Servizi Sociali territoriali o, nei casi di affidamenti giurisdizionali, dal Tribunale per i Minorenni. In alcuni casi, quando vi sono le giuste condizioni, il progetto di affido può assegnare agli affidatari e ai genitori il compito di accordarsi in concreto.

67. Ci sono situazioni nelle quali i genitori hanno il divieto di incontrare i loro figli? 
Sì, si tratta di quegli affidamenti giurisdizionali nei quali il Tribunale per i Minorenni ritiene che occorra sospendere temporaneamente tali incontri. Questo tipo di decisione spetta al Giudice minorile. Si tratta di situazioni estreme, che si presentano nei casi più gravi e nei quali sono probabilmente in corso accertamenti finalizzati a valutare l’eventuale futura dichiarazione di adottabilità del bambino. 

68. Se la famiglia di origine ha comportamenti problematici, gli affidatari come devono porsi? 
Gli affidatari non hanno il compito né l’onere di affrontare o gestire da soli i rapporti con le famiglie di origine. Questo è un principio generale che diviene ancora più stringente quanto la famiglia di origine assume comportamenti problematici. Nei casi nei quali non vi sono le condizioni per uno svolgimento sereno della relazione, i rapporti sono completamente gestiti dai Servizi Sociali e gli eventuali incontri tra bambini e genitori è bene che avvengano in un “luogo protetto” (in genere alcuni locali appositamente attrezzati, gestiti dal Servizio Sociale o da altre realtà del territorio). Ove necessario, l’accompagnamento dei bambini agli incontri protetti avviene a cura di un operatore e, quindi, non grava sugli affidatari. 

Esistono tipologie particolari di affidamento?

69. Cos’è l’affidamento “ponte” dei bambini piccoli? 
Si tratta di una esperienza realizzata con buoni risultati in diverse città italiane. Consiste nell’inserimento temporaneo in famiglia, per pochi mesi, di quei bambini per i quali l’autorità giudiziaria deve valutare se vi sono le condizioni per farli rientrare in famiglia o se occorre, piuttosto, procedere nella direzione della dichiarazione di adottabilità e, quindi, del trasferimento in adozione presso una coppia individuata dallo stesso Tribunale per i Minorenni. Le “famiglie affidatarie ponte” sono persone con figli propri, che si dichiarano previamente non disponibili ad adottare i bambini accolti, formate attraverso un percorso di preparazione specifica e seguite con particolare attenzione dai Servizi. Il loro compito è, appunto, quello di fare da “ponte” tra la storia precedente del bambino e quella futura.

70. Cos’è l’affidamento familiare omo-culturale? 
Si tratta delle esperienze di affidamento realizzate mediante l’inserimento di un minorenne straniero presso una persona o una famiglia della sua medesima nazionalità. Questa forma di affidamento permette di custodire e valorizzare le specificità culturali e religiose del minorenne e può incontrare più facilmente il consenso dei genitori.

71. Cos’è l’affidamento madre-bambino? 
Si tratta di una forma particolare di accoglienza familiare nella quale vengono ospitata una donna con il suo bambino. Sono accoglienze nelle quali, a seconda delle circostanze, il bambino può essere affidato alla madre o alla famiglia accogliente. Nel primo caso, il ruolo della famiglia si sostanzia in una ospitalità della madre, che provvede e decide in autonomia per il suo figliolo. Nel secondo caso, la famiglia accogliente diviene direttamente responsabile del benessere del bambino nei confronti del quale esercita la responsabilità genitoriale, avendo attenzione a coinvolgere attivamente la madre nella cura del figlio, sostenendone il rafforzamento del ruolo in vista di una futura autonomia.

72. Cos’è l’affidamento familiare short-break? 
L’affidamento familiare “brevi-pause” (in inglese, “short-break”) è una forma di supporto alle famiglie che hanno un figlio con disabilità. L’affidatario short-break si rende disponibile ad accudire per brevi tempi un minorenne disabile (ad esempio una serata a settimana, o un fine settimana ogni paio di mesi) affinché i genitori possano avere dei momenti di pausa e di rigenerazione. L’affidamento short-break è preceduto da un periodo di graduale conoscenza e frequentazione e, prima ancora, da una apposita formazione della famiglia disponibile.

73. Cos’è l’affidamento familiare di emergenza? 
Si tratta di un normale affidamento residenziale di un minorenne presso una famiglia. La caratteristica particolare che lo contraddistingue è la mancanza di preavviso e di gradualità iniziale. Nell’affidamento di emergenza gli affidatari si impegnano ad essere immediatamente disponibilità a dare ospitalità ad un bambino o ragazzo, che resta presso di loro per un tempo medio-breve, necessario a comprendere qual è il prosieguo che maggiormente risponde ai suoi bisogni. L’affidamento di emergenza permette di dare risposte a situazioni di disagio grave e imprevisto, che richiedono risposte tempestive. Gli affidatari di emergenza fanno un particolare percorso di formazione iniziale. Sono seguiti da una équipe specifica e, in genere, non hanno figli piccoli (che potrebbero negativamente subire la repentinità delle accoglienze).

74. Cos’è l’affidamento familiare diurno? 
L’affidamento familiare diurno è una forma di accoglienza che non si concretizza nel trasferimento residenziale del minorenne presso l’abitazione degli affidatari. Il bambino o ragazzo frequenta la casa degli affidatari, ad esempio, nei pomeriggi dopo la scuola, spesso anche restandovi per uno o entrambi i pasti, ma la sera rientra presso l’abitazione dei propri genitori. Non comportando il trasferimento stabile nell’abitazione degli affidatari, sul piano giuridico non si concretizza in un “provvedimento ufficiale di affidamento” e non si attivano, in capo agli affidatari, gli specifici doveri e poteri connessi all’esercizio della responsabilità genitoriale. Gli affidamenti diurni sono promossi e progettati dai Servizi Sociali territoriali nei casi nei quali non emergono criticità di rilievo tali da rendere completamente inidoneo il contesto familiare di origine.

75. Cos’è l’affidamento familiare privato? 
L’affidamento familiare privato consiste nel trasferimento temporaneo di un bambino o di un ragazzo presso una famiglia, sulla base della decisione dei suoi genitori, nell’esercizio della loro responsabilità. È il caso, ad esempio, del ragazzo che vive con gli zii o con i nonni o presso una famiglia amica per motivi di studio (perché, casomai, risiedono nei pressi della scuola da lui frequentata) o perché i genitori sono fuori per lavoro per periodi lunghi o perché sono temporaneamente impediti a prendersi cura del figlio per problematiche sanitarie o di altro genere. L’affidamento privato ai parenti entro il IV grado non ha limitazioni di tempo. Può prolungarsi anche a lungo, in base alle esigenze familiari. Diversamente, l’affidamento privato ad una famiglia amica, esterna alla parentela, non può durare oltre sei mesi. Nel caso in cui superi questa durata i genitori e gli affidatari devono darne notizia alla procura minorile, affinché vengano compiuti i necessari controlli e ci si assicuri che il minorenne non sia stato “indebitamente e definitivamente trasferito” presso persone estranee alla rete familiare e parentale.

76. Cos’è l’affidamento familiare professionale? 
Si tratta di una sperimentazione, poco diffusa in Italia, ma assai praticata in altri Paesi, nella quale alla famiglia affidataria viene corrisposto uno stipendio (non quindi un semplice rimborso spese) a fronte dell’impegno a seguire con particolare attenzione e intensità il percorso di un minorenne problematico che si impegnano ad accogliere presso di sé. Le famiglie affidatarie professionali frequentano un previo percorso di formazione che le prepara allo svolgimento di questo ruolo preciso.

77. Cos’è l’affiancamento part-time di adolescenti che vivono in comunità? 
In Italia vi sono circa 8mila adolescenti e preadolescenti che vivono nei servizi residenziali. A questi si aggiungono circa 2.500 neomaggiorenni (di età compresa tra i 18 e i 21 anni) e oltre 10mila minorenni stranieri non accompagnati, gran parte dei quali con età superiore ai 15 anni. Solo una parte di questo ampio “esercito” di ragazzi e ragazze, avrà la concreta possibilità e disponibilità a spostarsi in affidamento familiare. La stragrande maggioranza, invece, può beneficiare della presenza accanto a sé di “adulti affiancatari”, cioè di persone disposte a dedicare loro qualche ora a settimana, in modo duraturo nel tempo, nel corso dei mesi e degli anni, divenendo dei riferimenti stabili, oltre che dei legami affettivi, sui quali i ragazzi stessi possono contare, fin d’ora che sono accolti nei servizi residenziali e, ancor di più, quando diventeranno adulti e autonomi.

Cosa c'è "oltre" l'affidamento?

78. Se durante l’affidamento il bambino diventa adottabile, gli affidatari possono rendersi disponibili? 
La legge stabilisce che, qualora durante l’affidamento familiare, il bambino venisse dichiarato adottabile, gli affidatari, se in possesso dei requisiti previsti della legge per l’adozione, possono rendersi disponibili e che tale disponibilità deve essere accolta dal Tribunale per i Minorenni con priorità rispetto alle altre coppie, se essa corrisponde al bene del minorenne. È importante precisare che tale circostanza non va intesa come “via alternativa” per giungere all’adozione da parte di persone che non vi riescono per le vie ordinarie. Difatti in questo caso è richiesto – come detto – il possesso dei medesimi requisiti e la trasformazione dell’affidamento in adozione è una eventualità, non predefinibile a monte al momento dell’avvio dell’affidamento. Occorre inoltre considerare che l’affidamento, se condotto bene e non utilizzato in modo surrettizio, presuppone che gli affidatari si siano interfacciati con la famiglia e i parenti del minorenne. Ne consegue che, qualora adottino il bambino, rimarranno impegnati nel tempo in tali rapporti. Circostanza che richiede una particolare sensibilità sociale e solidale che non può essere data per scontata.

79. Cos’è l’affidamento a rischio giuridico di adozione? 
L’affidamento familiare “a rischio giuridico di adozione” è una particolare tipologia di accoglienza che viene proposta dai Tribunali per i minorenni alle coppie che hanno dato la disponibilità per l’adozione. Riguarda le situazioni di quei minorenni per i quali il Tribunale ha avviato le procedure per l’accertamento dello stato di abbandono morale e materiale, all’esito del quale ha intenzione di giungere alla dichiarazione del loro stato di adottabilità. Poiché, tra l’avvio della procedura di accertamento e la dichiarazione di adottabilità possono trascorre anche tempi molto lunghi, il Tribunale, qualora ritenga altamente probabile che il minorenne diverrà adottabile, può decidere di inserirlo fin da subito presso la coppia adottiva a cui ha deciso di abbinarlo. In tale primo periodo, non essendo il bambino ancora adottabile, la sua presenza viene giuridicamente inquadrata come “affidamento familiare”. Si tratta, evidentemente, di una sorta di “anticamera dell’adozione” ed ha quindi poco a che fare con l’affidamento familiare temporaneo di un minorenne finalizzato al suo rientro nella famiglia di origine.

80. Che cos’è l’affidamento preadottivo? 
L’affidamento preadottivo, nell’ordinamento giuridico italiano, è il termine con il quale si indica il primo anno di adozione di un bambino. Siamo nella situazione in cui il minorenne è stato già dichiarato adottabile e abbinato ad una coppia adottiva, che l’ha accolta presso la propria abitazione. Tale primo anno, denominato – appunto – “affidamento preadottivo”, rappresenta il tempo durante il quale i genitori adottivi possono, ove emergano gravi motivi, rinunciare all’adozione, annullandone così gli effetti. Durante questo primo anno, i Servizi Sociali territoriali hanno il compito di monitorare e sostenere la situazione. Al termine dell’anno di affidamento preadottivo il Tribunale, se non sono emersi elementi ostativi, procede con la pronuncia definitiva di adozione.

81. Cos’è l’adozione in casi particolari? 
L’adozione in casi particolari, disciplinata dall’articolo 44 della legge 184/83, è una previsione del nostro ordinamento giuridico che permette di procedere con una sorta di “versione attenuata” dell’adozione di un minorenne. Tale attenuazione consiste in alcuni effetti particolari, tra i quali, ad esempio, il mantenimento del cognome originario, al quale si aggiunge il cognome della famiglia adottiva. Un’altra importante differenza consiste nella non attivazione dei legami di parentela tra i minorenni adottati e i parenti dei genitori adottivi. In sintesi, significa che il bambino adottato diviene a tutti gli effetti figlio degli adottanti, ma non diventa anche nipote, fratello, cugino degli altri membri della rete parentale degli adottanti. L’adozione in casi particolari viene disposta quando, pur non ricorrendo i termini per l’adozione piena di un bambino (ad esempio perché non è stato dichiarato adottabile, o perché l’adottante non ha tutti i requisiti per l’adozione piena, etc.), si intende assicurare al minorenne l’inserimento definitivo (e non temporaneo come avviene con l’affido) in una determinata famiglia. I “casi particolari” più frequenti, nei quali si ricorre all’adozione in casi particolari sono l’adozione da parte dei parenti, l’adozione da parte del coniuge del genitore e l’adozione del minorenne portatore di handicap.

82. Cos’è l’adozione mite? 
Si tratta di una particolare modalità di interpretazione e attuazione dei “casi particolari” previsti dal citato articolo 44 della legge 184/83. Tale modalità, attivamente proposta da alcuni Tribunali per i Minorenni, si sostanzia nel proporre ad un genitore in difficoltà di “cedere parzialmente” il figlio ad un’altra coppia, rinunciando all’esercizio della sua responsabilità giuridica, pur mantenendo contatti e relazioni affettive con esso. Si tratta di una modalità che ha raccolto molte obiezioni, sia in seno alla magistratura minorile che in altri settori della tutela sociale poiché, al di là delle finalità, rischia di indurre a non sostenere adeguatamente i genitori di origine (impedendo di fatto di lavorare sui possibili margini di rientro dei minorenni a casa) e, all’opposto, rischia di non far evolvere verso l’adozione piena, alcune situazioni nelle quali le condotte dei genitori sono gravemente pregiudizievoli.

Come gestire gli aspetti pratici dell'affido?

83. Qual è il ruolo degli affidatari nei rapporti con le autorità sanitarie? 
La legge stabilisce che gli affidatari esercitano i poteri connessi alla responsabilità genitoriale negli «ordinari rapporti con le autorità sanitarie». Questo significa che è compito degli affidatari attivarsi per la scelta del medico di base, per l’accompagnamento del bambino presso i presidi sanitari per le vaccinazioni obbligatorie e per le varie ulteriori incombenze e firme connesse alla gestione degli aspetti ordinari della cura della sua salute.

84. Quali sono gli aspetti sanitari per i quali occorre coinvolgere i genitori (o il tutore)? 
Gli affidatari non possono decidere in autonomia rispetto agli aspetti che riguardano scelte sanitarie straordinarie, come ad esempio, la richiesta di vaccinazioni non obbligatorie e la scelta di realizzare interventi chirurgici o indagini diagnostiche invasive. Per queste decisioni, le Autorità Sanitarie, per il tramite dei Servizi Sociali territoriali, devono interpellare i genitori dei minorenni. Nel caso in cui questi siano stati sospesi, occorrerà rivolgersi al tutore o al curatore nominato dal Tribunale.

85. Il tesserino sanitario del minorenne affidato resta lo stesso? 
Se il bambino o ragazzo viene affidato ad una famiglia residente nella sua stessa ASL di provenienza, il Tesserino Sanitario resta lo stesso. Se viene accolto da una famiglia residente in un’altra ASL, gli verrà rilasciato, su richiesta degli Affidatari o dei Servizi Sociali territoriali, un tesserino sanitario temporaneo, rinnovabile ogni sei mesi.

86. Qual è il ruolo degli affidatari con la scuola? 
La legge stabilisce che gli affidatari esercitano nei confronti delle istituzioni scolastiche poteri analoghi a quelli di un genitore, anche in questo caso limitatamente agli «ordinari rapporti». Dunque, gli affidatari giustificano le assenze, autorizzano le gite, partecipano agli incontri scuola-famiglia, eleggono e possono essere eletti come rappresentanti di classe, etc. Non rientrano nel ruolo degli affidatari decisioni in merito a scelte come la preparazione scolastica privata, la scelta del tipo di scuola superiore, la scelta relativa alla frequenza o meno dell’insegnamento della religione cattolica. 

87. Gli affidatari sono coperti da una polizza assicurativa? Molti Servizi Sociali territoriali attivano polizze assicurative finalizzate alla copertura degli infortuni subiti dai minorenni durante l’affidamento e dei danni da essi causati a terzi. Non rientrano, di consueto, in questa copertura i beni e l’incolumità degli stessi affidatari, essendo tali assicurazioni attivate per tutelarli non dai possibili danni subiti ma dalle responsabilità connesse ai danni ricevuti da altri (compreso lo stesso minorenne).

88. Qual è l’importo del contributo spese che ricevono gli affidatari? 
Come anticipato sopra, gli affidatari, di consueto, ricevono un contributo spese dal Comune di residenza del minorenne. Tale contributo ha importi variabili a seconda dei territori. L’importo mediamente riconosciuto è tra i 300 e i 400 euro mensili, erogati con frequenze variegate (da quella mensile a quella annuale). Non mancano comuni che riconoscono importi più alti (le Linee di indirizzo nazionali sull’affidamento familiare suggeriscono di prendere a riferimento l’importo della Pensione minima Inps) o più bassi. Per gli affidi di minorenni con disabilità o con altri bisogni particolari, vengono in genere previsti contributi maggiorati. Un certo numero di comuni, soprattutto al Centro e al Sud Italia, non riconosce agli affidatari alcun contributo spese. 

89. È possibile ricevere rimborsi spese straordinarie? 
A fronte di particolari esigenze dei minorenni, gli affidatari possono trovarsi esposti a spese straordinarie non copribili con il contributo spese base. Si pensi ad esempio a spese connesse a percorsi di psicoterapia, di ortodonzia, di completamento del proprio bagaglio formativo, etc. A fronte di tali spese, alcuni Comuni prevedono la possibilità di erogare agli affidatari degli specifici contributi aggiuntivi. 

90. Il contributo spese è calcolato in base al reddito degli affidatari? 
Anche se in alcuni territori vige una stretta connessione tra il calcolo dell’importo del contributo spese agli affidatari e il loro reddito, si tratta di una prassi non maggioritaria e che le Linee di indirizzo ministeriali in materia invitano a non adottare, ritenendo piuttosto che il contributo debba essere inteso come “dote del minorenne” e quindi erogato a prescindere dalla condizione economica del ricevente. Il contributo spese riconosciuto agli affidatari non ha valore di reddito e, come tale, non va inserito nella dichiarazione dei redditi.

91. Ci sono altri supporti e previdenze per gli affidatari? 
Agli affidatari viene riconosciuta la possibilità di ricevere l’Assegno Universale per figlio. Possono altresì beneficiare di congedi parentali e altre agevolazioni lavorative connesse all’esercizio del ruolo genitoriale.

92. Gli affidatari possono portare con sé il minorenne in viaggio all’estero? 
Il coinvolgimento del minorenne in affidamento familiare in viaggi all’estero insieme ai propri affidatari, può avvenire purché il minorenne stesso sia munito di documenti adeguati all’espatrio.

93. Come fanno gli affidatari a “dimostrare” che il minorenne gli è affidato? 
Nel caso di controlli da parte delle forze dell’ordine, di acquisto di biglietti di viaggio nominativi o di accesso ad alberghi, gli affidatari possono dimostrare di esserlo esibendo copia del provvedimento di affidamento familiare (emesso dal Servizio Sociale territoriale o dal Tribunale per i Minorenni). In alcuni territori ha preso piede il rilascio agli affidatari di una sorta di “attestato di affido” che consente di mostrare ai controllori i dati del minorenne in affidamento e il suo rapporto giuridico con gli affidatari, senza che si sia costretti a mostrare le ulteriori informazioni sensibili presenti nei provvedimenti di affidamento.

Qual è il percorso per diventare affidatari?

94. Qual è il primo passo per diventare affidatari? 
Il primissimo passo per “diventare affidatari” è prendere contatti, sul proprio territorio, con i Centri per l’Affido (articolazione dei Servizi Sociali locali specializzata nel campo dell’affidamento familiare) o con le Associazioni di famiglie affidatarie. A questo scopo è possibile contattare lo Sportello Informativo attivato da Progetto Famiglia contattando il numero verde 800.66.15.92 o visitando la pagina web www.progettofamigliaformazione.it o, ancora, scrivendo alla casella email campagna_volontariato@progettofamiglia.org 

95. La cosa migliore è parlarne con chi ci è già passato? 
Una delle più efficaci modalità per “farsi un’idea” di cos’è l’affidamento familiare è conoscere personalmente famiglie e persone che già vivono questa esperienza, ascoltare i loro racconti, trascorrere con loro qualche ora, capire quali sono le difficoltà che hanno incontrato e come sono state superate, comprendere la ricchezza e la bellezza di una esperienza così importante. Ugualmente prezioso può essere l’incontro con dei giovani che, da bambini, sono stati in affidamento. Per vivere questi incontri è possibile chiedere al numero verde 800.66.15.92 o scrivere alla casella email campagna_volontariato@progettofamiglia.org.

96. Dopo la prima informazione, quali sono i passi? 
Dopo i colloqui informativi, coloro che intendono concretizzare la propria disponibilità vengono coinvolti in un percorso formativo, organizzato dai Servizi Sociali e/o dalle Associazioni del territorio, finalizzato ad offrire ai candidati stimoli e indicazioni che permettono di assumere piena consapevolezza circa il passo che si sta per compiere. A questo proposito è possibile partecipare ai corsi organizzati da Progetto Famiglia. I corsi sono gratuiti e si svolgono periodicamente, con cicli di 5-6 incontri, con frequenza settimanale o quindicinale, in orario serale o nel fine settimana, in modo da facilitare la partecipazione degli interessati. Per conoscere i prossimi corsi in calendario contattare il numero verde 800.66.15.92 o scrivere alla casella email campagna_volontariato@progettofamiglia.org. Al termine della formazione i candidati vengono coinvolti in alcuni colloqui di conoscenza a cura dell’équipe del Centro Affidi o dei responsabili dell’Associazione. Conclusi i colloqui, se vi sono condizioni di sufficiente preparazione, consapevolezza e adeguatezza all’affido, i candidati vengono inseriti nella Banca Dati delle famiglie pronte e attivabili e vengono tenuti in considerazione quando emergono le situazioni di minorenni bisognosi di accoglienza. A volte, l’accoglienza parte in tempi brevi. Altre volte trascorrono vari mesi. Questo dipende dalla abbinabilità tra le caratteristiche dei concreti minorenni da accogliere e le disponibilità degli aspiranti affidatari.

97. Gli affidatari devono partecipare ad un gruppo? 
Nei quarant’anni di attuazione della legge sull’affidamento familiare in Italia, si è evidenziata con chiarezza la grande utilità che ha per gli affidatari la partecipazione ad incontri periodici di gruppo tra famiglie affidatarie. Questo permette a chi ha un affido in corso di avere uno spazio di confronto e condivisione sull’esperienza in atto. A coloro che sono temporaneamente senza affidi, la partecipazione al gruppo permette di “stare in partita”, tenendo alta la motivazione, crescendo sempre più in consapevolezza grazie agli spunti e alle esperienze di chi ha un affido in corso. La partecipazione al gruppo dà inoltre la possibilità di attivarsi concretamente in forme di supporto agli altri affidatari.

98. Quando un affidamento inizia, viene elaborato un progetto? 
Le Linee di indirizzo nazionali sull’affidamento familiare chiariscono che per effettuare un affidamento in modo adeguato e attento, occorre elaborare, prima del suo inizio, un documento che ne chiarisca gli obiettivi, la durata, i ruoli, i supporti, le attività, le verifiche, etc. Questo documento è il «progetto di affidamento familiare». Quando possibile, è bene che tale progetto sia elaborato dai Servizi Sociali territoriali in dialogo con la famiglia di origine, con la famiglia affidataria e coinvolgendo attivamente il minorenne, con modalità adeguate alla sua età e alla sua capacità di comprensione.

99. L’affidamento inizia gradualmente? 
Quando possibile, è importante che l’affidamento familiare inizi con gradualità. Se il minorenne e la famiglia affidataria hanno la possibilità di conoscersi e frequentarsi per un certo tempo prima dell’accoglienza, si riesce ad abbassare i livelli di ansia di tutti i soggetti in gioco e ad evitare i problemi connessi al divenire “improvvisamente” conviventi tra estranei. Ove possibile, è bene realizzare momenti di incontro previo anche tra la famiglia affidataria e la famiglia di origine del minorenne.

100. Durante l’affidamento si ricevono supporti specialistici? 
Durante lo svolgimento dell’affidamento familiare il minorenne e gli affidatari ricevono supporti e accompagnamento, in base a quanto indicato nel progetto elaborato inizialmente dai Servizi Sociali. Le forme di sostegno più frequente sono il supporto psicologico dei minorenni (sia gli affidati che gli eventuali figli degli affidatari), il supporto e confronto psicopedagogico con gli affidatari (al fine di “leggere” insieme l’andamento dell’accoglienza e valutare eventuali attenzioni, valutare insieme eventuali dinamiche relazionali complesse, etc.), il supporto sociale, il disbrigo di eventuali pratiche e procedure burocratiche legate all’accoglienza. Durante l’affidamento, uno degli impegni delle famiglie affidatarie è quello di “aprirsi” al dialogo collaborativo e al confronto costante con i Servizi Sociali, evitando di slittare in atteggiamenti di “chiusura privatistica” e di “autogestione solitaria” dell’accoglienza.

101. Perché è importante partecipare ad una Associazione di famiglie affidatarie? 
La partecipazione degli affidatari ad un’associazione di famiglie si è dimostrata come una delle più significative occasioni di crescita e maturazione positiva delle esperienze di accoglienza. Le associazioni offrono agli affidatari  uno spazio di condivisione e confronto con altre famiglie con maggiore esperienza. Permettono inoltre di organizzarsi insieme, per trovare risposte alle diverse esigenze dell’accoglienza, in sinergia e d’intesa con i Servizi Sociali territoriali. Per sapere quali sono le Associazioni di affidatari presenti nel proprio territorio è possibile contattare il numero verde 800.66.15.92 o scrivere alla casella email campagna_volontariato@progettofamiglia.org.