Il ruolo del Servizio Sociale nell’era digitale

Home
/
Blog AffidoBlog Social Work
/
Il ruolo del Servizio Sociale nell’era digitale

Tecnomediazione della relazione, crisi di valori, impegno educativo: le nuove sfide del servizio sociale professionale.

L’era digitale

Stiamo assistendo, ormai già da qualche anno, ad un cambiamento radicale, un passaggio evolutivo che ha influito e, continuerà a farlo, sull’uomo del terzo millennio. L’avvento prepotente e, ormai, irrinunciabile, del digitale, ha prodotto eventi e nuovi assetti che non possiamo ignorare. Davanti a tutto questo, il Servizio Sociale non può restare ancorato a paradigmi e metodologie che, per certi aspetti, risultano distoniche con quanto sta accadendo e, in termini certamente epistemologici, ma soprattutto, pratici, deve saper non adattarsi, ma offrire opportunità.

«Occorre riposizionare il focus sul ruolo educativo del Servizio Sociale, non rinunciando all’autenticità della relazione interpersonale»

Rete e servizio sociale

Questa esigenza è frutto del fatto che il digitale, la tecnologia, non possono essere intesi solo come “mezzi”, bensì come “ambiente da abitare” (Cantelmi, 2019), i cui confini sfumano nel mondo reale e inducono riassetti esperienziali, dunque, cognitivi, emotivi, sociali, in grado di modificare la sfera dell’Io e relazionale e, in taluni casi, ridefinire il senso stesso dell’esistere.

In virtù di quanto premesso, tralasciando tutti gli aspetti psicopatologici connessi alla cittadinanza digitale, il servizio sociale deve entrare nella Rete, in quanto epocale motore di cambiamento sociale e di trasformazione culturale dai risvolti incerti ma, senza dubbio, straordinari, e coabitare in essa, pur senza rinunciare a veicolare valori e messaggi propositivi.

Annichilimento relazionale

L’avvento della Rete ha, innanzitutto, impattato sulle modalità di intendere la relazione interpersonale e, quindi, nella ridefinizione della lettura dell’individuo, del suo Io, della sua abilità di entrare o meno in contatto con l’altro; dunque, il primo elemento su cui riflettere è proprio la trasformazione che la Rete ha indotto della modalità stessa di intendere la relazione.

Appare evidente che si assiste ad una rinuncia ad investire nella sfera interpersonale, così come, tradizionalmente intesa, fatta cioè di presenza, tangibilità, incontro, ad appannaggio di una relazione fluida, per citare Bauman, che impedisce una stabile assunzione di identità e, quindi, genera relazioni interpersonali instabili.

Si profila altresì, un annichilimento delle potenzialità e capacità autopoietiche proprie della relazione face to face, in, favore del paradigma dell’ambiguità che, impedisce all’individuo di assumere una visione prospettica di lungo periodo, preferendo l’occasionalità e, pertanto, l’identità, cioè la consapevolezza interiore di sé e di ciò che si è, soccombe ad un esserci instabile e tecnomediato.

Il non luogo

Altro aspetto che il digitale porta con sé è la desertificazione interiore, frutto della solitudine, o meglio, dell’illusione della socialità. Il disinvestimento nella relazione vis a vis fa sì che il Web diventi il luogo, o più precisamente, il non luogo, dove rifugiarsi; l’involucro protettivo nell’affascinante incontro nella comunità virtuale, in cui evitare il disagio derivante dalle paure proprie di un confronto diretto.

L’individuo in Rete, pagando lo scotto dell’isolamento dal reale, può sottrarsi alla paura del fallimento, della competitività, del mettersi in discussione, poiché il digitale offre l’opportunità di essere individui abili e di successo nelle community, a fronte di una incapacità nella vita reale. Paradossalmente “siamo sempre più connessi, più informati, più stimolati ma esistenzialmente sempre più soli” (Cantelmi, 2020) con evidenti sensazioni di vuoto e di malessere.

Rischi e soluzioni

Dal momento che la relazione, o meglio, il legame, è il presupposto imprescindibile del lavoro professionale di aiuto, come, dunque, il Servizio Sociale può abitare il digitale senza cedere alla omologazione del tecno-mondo? Certamente l’avanzare dell’era digitale è un fenomeno ineluttabile, pertanto, sarebbe improprio un approccio collusivo, bensì, occorre utilizzare le enormi potenzialità comunicative che esso stesso offre, per veicolare la necessità di non rinunciare a narrare e a narrarsi, a trasmettere una visione della vita che dia valore e senso, che instilli libertà. 

Occorre riposizionare il focus sul ruolo educativo del Servizio Sociale, non rinunciando all’autenticità della relazione interpersonale e alla sua fecondità, o meglio, alla sua terapeuticità. Pertanto, partendo dalla Rete delle Reti per connettere gli individui, si può offrire un ribaltamento dal virtuale al reale con la possibilità di fare rete, come gli addetti ai lavori ben sanno, cioè stabilendo connessioni interpersonali e gruppali di spessore, connotate di significati e significanti.

Ciò presuppone una capacità di essere autorevoli, competenti, coerenti e responsabili e, per certi versi, accattivanti; richiede, soprattutto, uno stare con, uno scendere in campo, abbandonare i contesti istituzionali, abbracciare la logica della prossimità, restituendo così all’individuo la fiducia nella vita e la speranza nel futuro.




Fonti:

D’Urbano C. (2019) La pietra della follia, Città Nuova  

Cantelmi Tonino (2013). "Tecnoliquidità - La psicologia ai tempi di internet: la mente tecnoliquida". Edizioni San Paolo

Cantelmi, Toro M.B. e Talli M. (2010)- "AVATAR",

 


Se sei interessato a raccontare la tua esperienza o le tue riflessioni di assistente sociale siamo lieti di pubblicare un tuo articolo sul nostro blog. Per maggiori informazioni contatta la dott.ssa Serena Vitale (redazioneblog@progettofamiglia.org)
Scrivi un Messaggio
Accetto la Privacy Policy
L'invio del tuo messaggio è andato a buon fine.

Siamo lieti che tu ci abbia scritto! A breve il messaggio sarà visionato dallo Staff del Centro Studi. Ti risponderemo quanto prima.

Cordiali saluti, la Tutor del Centro Studi, dr.ssa Carmela Carotenuto.
Oops! Qualcosa è andato storto!