Riconoscere la fame di relazioni nell’Assistente Sociale

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Riconoscere la fame di relazioni nell’Assistente Sociale

Sentirsi accolto è una precondizione necessaria per l’efficacia e l’efficienza: anche nel Servizio sociale!

La mente è relazionale. E i servizi lo sono?

Il contesto socioculturale ipermoderno si caratterizza per una crescente frammentazione del tessuto sociale e per l’impoverimento delle relazioni, con conseguenti ricadute sul benessere individuale.

Eppure l’essere umano è predisposto alle relazioni, la mente è relazionale: «le connessioni umane plasmano le connessioni neurali, ed entrambe contribuiscono alla sviluppo della mente» (Siegel 2013). Siamo coinvolti, nel corso della vita, grazie alle continue esperienze di relazione, in un processo ininterrotto durante il quale il cervello continua a modificare le sue connessioni strutturali (Cf. Doige, 2007). 

«L’Assistente Sociale non è immune dal rischio del ritiro relazionale, rischio tanto più importante quanto più l’operatore si trovi a lavorare da solo»

Stare bene con gli altri è un bisogno evolutivo irrinunciabile 

Nell’ipermoderno è forte il rischio di isolamento e di sfiducia, tanto nei contesti informali che negli ambienti professionali. Anche l’Assistente Sociale non è immune dal rischio del ritiro relazionale, rischio tanto più importante quanto più l’operatore si trovi a lavorare da solo o in contesti ad alta burocratizzazione. 

Questa condizione sfavorevole, oltre ad avere – a lungo termine – effetti deleteri per la salute psichica e fisica, può tradursi concretamente nel passaggio dalla auspicabile visione comunitaria-educativa del lavoro sociale a quella di tipo burocratico e di controllo, con gravi conseguenze sull’efficacia del lavoro e di svilimento della mission stessa del servizio sociale professionale. 

Vie di uscita dalla capsularizzazione 

Anche l’Assistente sociale risente del pericolo della capsularizzazione (Cf. De Cauter 2004). «Gli individui sono isolati in un loro mondo, una bolla, una capsula entro cui si sentono protetti» (Mancini 2017). Come fare per recuperare in umanità? Occorre, anche per l’Assistente sociale, poter beneficiare di luoghi e strategie in cui poter sperimentare relazioni positive onde evitare il crescente e progressivo impoverimento della persona. Sempre Mancini a proposito scrive: «la soglia di accesso a modalità più umane, integre e lucide nel modo d’essere e di vivere le relazioni è data negli eventi di accoglienza. Quando qualcuno ci accoglie volentieri, aprendosi alla nostra presenza senza sottoporci a giudizio o a qualche forma di oppressione, allora ci è offerta la possibilità di riaffiorare come persone» (Mancini 2017). 

Chi deve accogliere ha bisogno di sentirsi accolto 

L’accoglienza rimane la condizione positiva di ogni esistenza, e l’ha ben capito chi (soprattutto nel privato) si prende cura dei propri collaboratori investendo in gruppi di self-care, supervisioni, intervisioni.Beneficiare di luoghi in cui l’Assistente sociale possa sentirsi accolto, senza sfruttamento, né finzione o strumentalità, è la condizione necessaria per poter sviluppare le soft-skills le quali, senza questa precondizione, passeranno alla storia come l’ennesima retorica sul “dover essere” di un operatore su cui si concentrano talvolta pressioni emotive e sociali che sarebbero insopportabili per chiunque.

Se sei interessato a raccontare la tua esperienza o le tue riflessioni di assistente sociale siamo lieti di pubblicare un tuo articolo sul nostro blog. Per maggiori informazioni contatta la dott.ssa Serena Vitale (redazioneblog@progettofamiglia.org)
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