Evoluzione del socioassistenzialismo: dinamiche storiche, attualità e prospettive

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Evoluzione del socioassistenzialismo: dinamiche storiche, attualità e prospettive

Le Politiche Sociali dell’Europa Meridionale: evoluzioni, interventi disomogenei e prospettive future.

Welfare europeo, tra disomogeneità e ritardi

Nell’Europa che tutti noi oggi conosciamo, varie sono le forme di Welfare State che possiamo trovare all’interno degli Stati membri. Lo sviluppo disomogeneo tra i vari stati, evidenzia pregi e carenze strutturali di ciascuno, soprattutto per quanto concerne l’area Mediterranea. Tra questi troviamo l’Italia che, nonostante dal dopoguerra abbia sviluppato il concetto di assistenza sia dal punto di vista giuridico che sociologico, presenta dei ritardi e difetti nel timing di intervento. Le cause di tali problematiche possono essere evidenziate attraverso un’analisi storica, statistica, e sociologica dei fattori determinanti delle politiche sociali nazionali e continentali.

 Il grado di civiltà di uno stato si misura dalla qualità dei servizi sociali che eroga al cittadino

Disomogeneità e differenze: numeri e dati alla mano

Le recenti differenze strutturali tra i Paesi del “Welfare mediterraneo”1 e i paesi del Nord Europa evidenziano, in ognuno di essi, delle peculiarità problematiche. Quelle inerenti i Paesi del Mediterraneo  riguardano l’ambito occupazionale-lavorativo e l’ambito socio-economico. La gran parte dei Paesi dell’Europa Meridionale, Italia compresa, registra un tasso di occupazione instabile a causa dell’alternanza tra una stabilità della crescita occupazionale e l’emergere della disoccupazione settoriale.

Nel 2017, ogni abitante Europeo ha ricevuto in media poco più di 8mila euro annui per le prestazioni sociali. Con 8.041 euro pro-capite l’Italia è nella media dell’Unione Europea. La soglia, tuttavia, è molto ampia: spazia dai 20.514 euro del Lussemburgo ai 1.211 della Bulgaria.

Questa breve analisi statistica ci fa comprendere quanto l’Italia, nonostante rientri tra quei Paesi con una forma assistenziale concettualmente e giuridicamente evoluta, abbia riscontrato, in passato, problemi con conseguenze tuttora presenti. Ma quali sono le cause di una diffusione così disomogenea dell’economia e, conseguenzialmente, dell’assistenzialismo?

Nuovo assistenzialismo: Evoluzione e quadro normativo.

Concettualmente e giuridicamente, il termine “assistenza” ha subito un’enorme evoluzione: si è passati da una concezione caritatevole, concernente soltanto gli enti ecclesiastici della fine dell’ottocento, alla concezione attuale, nella quale l’assistenza si correla a veri e propri diritti sociali. Tale concezione si è velocemente diffusa dal dopoguerra in poi, comportando contestualmente un’enorme ondata normativa  nel settore delle politiche sociali.

I primi Paesi ad adottare schemi di reddito minimo garantito furono: il Regno Unito, nel 1948; la Svezia, nel 1956; la Germania, nel 1961; i Paesi Bassi, nel 1963, fino ad arrivare a Grecia e Italia nel 2017/20182.  Dall’elenco si denota un enorme divario temporale. A questo punto bisogna chiedersi il “perché” di questo divario e, soprattutto, bisogna ricollegare le cause alle conseguenze che tuttora ritroviamo, e probabilmente ritroveremo ancora a lungo, nelle nostre vite.

Fattori sociali e fenomeni culturali? L'analisi sociologica

Partendo dal presupposto che è impossibile analizzare in tale sede tutti i fattori causali che hanno comportato tale divario, prenderemo in considerazione alcuni tra i più importanti. Tra questi, vi sono: il “Familismo”3 e la presenza del “Terzo Settore”4.

Per “Familismo” si intende la centralità del nucleo familiare come riferimento sociale ed economico per la persona. Esso risulta essere più elevato nei Paesi dell’Europa mediterranea (Spagna, Italia, Grecia). In questi stati, infatti, la famiglia ha rappresentato per numerosi anni il riferimento principale per la persona, bloccando parzialmente e temporaneamente l’emergere delle problematiche sociali ed economiche.

La presenza del Terzo Settore, invece, risulta essere maggiore, già dai primi anni cinquanta e sessanta, in Paesi come la Norvegia, la Danimarca e la Germania. Maggiore diviene la correlazione tra l’ambito privato e l’ambito sociale, maggiore sarà l’attenzione dell’ambito pubblico, in quanto esposti all’interno della struttura sociale.

Ulteriori fattori, determinanti per l’intervento sociale nei Paesi dell’Europa meridionale, sono stati il “lavoro sommerso” e la disomogenea distribuzione delle risorse sul territorio e tra gli ambiti di intervento. Nello specifico, tali fenomeni hanno  aumentato la disuguaglianza sociale/territoriale e comportato la presenza di fenomeni di anomia5.

Consulenze e nuove prospettive

Quali sono, dunque, le conseguenze concrete comportate dai fattori precedentemente elencati? Innanzitutto un timing di intervento tardivo da parte delle politiche sociali. Con tale termine s’intende, appunto, un ritardo nell’elargire forme di intervento sociale e assistenziale, a sua volta causato dal ritardo dell’emersione delle problematiche socio-economiche sul territorio.

Infatti, è bene ricordare che, in precedenza, si aveva come primo riferimento il nucleo familiare; inoltre, è altresì veritiero che è stato un eccessivo carico di lavoro per il settore pubblico (eccessivo e inoltre emerso in poco tempo) ad avviare, solo verso gli anni novanta, un parziale processo di privatizzazione con la conseguente crescita del terzo settore.

Ovviamente, non sono mancati gli interventi normativi basati sui principi sanciti dalla Costituzione e dalla visione centralizzata sulla persona. I provvedimenti più importanti hanno fatto sì che ci fosse anche un’integrazione socio-economica e sanitaria per gli interventi; basti pensare alla nascita di vari fondi, tra cui: il fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza nel 19976; all’emanazione della Legge 328/00 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”; del Reddito di inclusione e del Reddito di cittadinanza.

Una nuova visione per gli interventi futuri

Questo breve ma conciso quadro storico, sociologico e normativo ha evidenziato pregi, difetti, problematiche e potenziali soluzioni nell’ambito delle politiche sociali. In particolare, ha evidenziato le cause di alcuni deficit strutturali tuttora presenti in numerosi Paesi, compresa l’Italia. Le conseguenze di tali cause hanno comportato enormi privazioni sociali ed economiche nell’ambito dei servizi sociali.

Ma quali sono le prospettive future di intervento? Senza dubbio, la centralità della persona e l’emergere del terzo settore sono e saranno protagoniste degli interventi attuali e futuri, sia sull’ambito sociale che sull’ambito sanitario. L’augurio è quello di poter porre in essere una maggiore omogeneità di risorse, un più equo carico di lavoro tra le Istituzioni e l’attivazione delle stesse come soggetti “attivi”, attraverso misure “erga omnes” che non creino dipendenza bensì autonomia, prosperità.

Riferimenti bibliografici

  1. Maurizio Ferrera, “Le politiche sociali”, il Mulino, 2019.
  2. Ibidem;
  3. Ibidem;
  4. Daniela Bucci, “Il lungo cammino della riforma - Monitoraggio sull’applicazione della normativa sociale in Italia”, Associazione Nuovo Welfare, Roma, 2002;
  5. Alessandro Baratta, “Criminologia critica e critica del diritto penale - Introduzione alla sociologia giuridico-penale”, Meltemi Editori, 2019;
  6. Daniela Bucci, “Il lungo cammino della riforma - Monitoraggio sull’applicazione della normativa sociale in Italia”, Associazione Nuovo Welfare, Roma, 2002.

Riferimenti sitografici

1) https://ec.europa.eu/eurostat/statistics

2) www.istat.it/archivio/241933

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